di Armando Caruso
Uno dei tanti principi a cui l’Homo sapiens si è ispirato nella sua ultra-millenaria esperienza, è la conquista degli spazi territoriali altrui. E, per conquistarli, ha dato ampio sfogo alla propria bestiale aggressività. Ha inventato armi rudimentali: la clava, le frecce di pietra durissima, lance di bronzo e ferro, spade, pugnali. Poi, affinando la propria malefica intelligenza, attraverso secoli di studio, ha capito che chi avesse inventato e costruito armi sempre più micidiali, avrebbe potuto starsene rincantucciato nei laboratori di morte e mandare gli altri, i soldati, gli “eroi”, a combattere per la gloria, a morire.
Liquidare così, tutto in due parole, sembrerebbe voler affrontare un argomento tremendamente complesso, esistenziale, dell’evoluzione dell’uomo con frasi banali di circostanza. Non è così. Bisogna prendere l’Uomo per quel che è, guardarlo bene negli occhi. Cercare di capire il perché di tanta furia distruttiva valutando le infinite ragioni che governano il suo comportamento, senza farsi mai coinvolgere dalle emozioni. Facile a dirsi, difficilissimo se si vuole comprendere un meccanismo meraviglioso e al tempo stesso diabolico.
L’Uomo, da sempre, creatore e manipolatore di idee, ha indossato due abiti mentali: l’uno, dell’artista poliedrico, alle prese con i colori della vita, della natura, della musica, della poesia, delle arti, dell’estrema genialità; l’altro, dell’essere tragico, che dipinge di rancore tutto ciò che pensa, che non lascia spazio ai chiaroscuri, alle emozioni.