POLITICA

ABUSO DI UFFICIO: LA SOLUZIONE NON E’ ABOLIRE IL RICORSO ALLA GIUSTIZIA PENALE

By 25/07/2023No Comments

Il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri prevede la cancellazione del’art. 323 del cod. penale – Giuristi divisi sulla riforma giudiziaria – Effetti deleteri soprattutto per la pubblica amministrazione – Complesso l’equilibrio giuridico tra i poteri dello Stato – Appello ai magistrati: non inflazionare i processi per i reati che il governo vuole eliminare.

Come è noto, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che mira ad eliminare il delitto di abuso d’ufficio oggi previsto dall’art. 323 codice penale. L’attuale versione di questa disposizione è il risultato di una pluralità di riforme, introdotte allo scopo di pervenire ad un soddisfacente equilibrio fra poteri dello Stato.
La proposta del Governo ha avuto una accoglienza assai “tiepida”.
A fronte di quanti ritengono corretta la scelta di procedere all’abolizione del delitto, alla luce dei numerosi processi instaurati, conclusi con (anche clamorose) assoluzioni e delle incriminazioni che sono poi risultate senza esito – ma non per questo prive di conseguenze negativi per i pubblici ufficiali, specie i sindaci, coinvolti – la maggioranza ritiene che la scelta di rinunciare in modo completo e totale a tale forma di tutela del corretto svolgimento dell’attività della pubblica amministrazione comporterebbe conseguenze assai deleterie. Quanto meno perché non verrebbero puniti ed in alcun modo sanzionati i possibili atti di prevaricazione sui privati, consentendo ai funzioni della pubblica amministrazione l’adozione di stili di comportamento vessatori e autoritari che sembravano ormai, se non dimenticati, comunque in via di storico superamento.
Prima di verificare a quale di questi due orientamenti – è opportuno o meno abrogare il reato di abuso di ufficio – è il caso di riassumere quali condotte vengono punite da questa fattispecie.
Un riassunto esemplare del contenuto di questa disposizione incriminatrice è stato fornito dal prof. Donini in un articolo sul Riformista: secondo l’esimio studioso, la norma in discorso interviene su tre tipologie di comportamenti censurabili e cioè “i meri favoritismi, i favoritismi con pregiudizio di terzi, e le prevaricazioni”. Con la prima espressione, “meri favoritismi”, possiamo fa riferimento al rilascio di permessi, di autorizzazioni in assenza delle condizioni previste dalla legge, allo scopo di avvantaggiare il privato che viene ad acquisire una posizione di vantaggio cui non avrebbe diritto; in alcuni casi, peraltro, oltre a favorire in maniera illecita un privato, il pubblico funzionare al contempo danneggia altri soggetti – esemplificativamente: in violazione delle previsioni normative e dei risultati del concorso, se ne dichiara vincitore Tizio, anziché Caio, così da avvantaggiare il primo e danneggiare il secondo; infine, il pubblico funzionario può agire al solo scopo di danneggiare un terzo privato (ad esempio, si eleva una contravvenzione contro un privato senza che ne ricorrano le giustificazioni ed i presupposti).
In tutti e tre i casi sopra esaminati – e, quindi, in tutte le ipotesi astrattamente rientranti nel delitto di abuso di ufficio – il comportamento è punito solo e se tenuto intenzionalmente dal pubblico ufficiale. I
Il che vuol dire che, anche se un presupposto per la commissione di questo delitto è rappresentato dalla circostanza che il pubblico ufficiale agisca in violazione di norme di legge o di regolamenti – ovvero è necessario che il beneficio o il danno arrecato a terzi sia conseguenza di una tale violazione della norma – occorre da un lato che tale violazione sia volontaria (il pubblico ufficiale deve volere non rispettato il dettato normativo) e che, parimenti, sia volontaria la conseguenza che ne deriva – il pubblico ufficiale cioè deve volere danneggiare o favorire un privato a mezzo della suddetta violazione. Se questi sono i comportamenti puniti dall’art. 323 c.p. ci pare che la sua integrale abrogazione debba lasciare decisamente perplessi. In primo luogo, una tale decisione finisce inevitabilmente per tutelare in maniera ingiustificata i pubblici funzionari, specie dopo che con l’ultima riforma di tale delitto si è limitata la rilevanza penale alle sole condotte che si caratterizzino per una violazione di regole di legge “dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
In sostanza, oggi è assai più difficile sostenere la sussistenza del delitto di abuso di ufficio quando la previsione normativa che il pubblico ufficiale avrebbe violato per favorire o danneggiare un privato risulti di incerto significato, di interpretazione dubbia, ecc..
In secondo luogo, c’è il rischio che l’abrogazione del delitto di abuso di ufficio, lungi dall’alleggerire le posizioni dei pubblici amministratori, determini un inasprimento del loro trattamento sanzionatorio.
Infatti, a fronte di condotte comunque riprovevoli come quelle descritte in precedenza è difficile immaginare che la collettività non pretenda comunque una risposta da parte della magistratura, la quale, in assenza di un delitto residuale come quello previsto dall’art. 323 c.p. e nella necessità di una reazione a inaccettabili favoritismi da parte dei pubblici funzionari, potrebbe qualificare i fatti facendo ricorso ad altre e più gravi fattispecie criminali, come la corruzione o la concussione.
In effetti, un paese con un’etica pubblica diffusa, che non trova sostegno nella sola risposta penale, si potrebbe pensare di affidare alle sanzioni extrapenali – come la riprovazione collettiva – la prevenzione di queste condotte. In Italia, invece, non ci pare proprio che una tale conclusione sia ragionevole.
In terzo luogo, il problema dei troppi processi conclusi con sentenze di assoluzione richiama la paradossale tesi secondo cui andrebbero abolite le leggi penali che recano con sé poche condanne. Ma così ragionando moltissimi illeciti dovrebbero seguire la medesima sorte posto che sono ben modeste nelle raccolte di giurisprudenza le sentenze di responsabilità per i delitti di strage, di epidemia, di avvelenamento di acque, o per vari disastri, per non parlare di tanti reati economici, dove la cifra oscura è assai più elevata. Eppure, si tratta di leggi che presidiano beni importanti, la cui necessaria presenza nell’ordinamento di uno Stato nessuno mette in discussione – ed abbiamo viste le nefaste conseguenze che sono seguite alla riscrittura dei reati societari operata dalla medesima compagine governative nel 2001.
Piuttosto, bisogna, questo sì, responsabilizzare i magistrati per un uso non inflazionistico dei processi e delle incriminazioni in tema di abuso di ufficio, tenendo però ben presente che spesso le denuncia per tale delitto – con conseguente apertura delle indagini – avviene dietro sollecitazione dei privati e non per iniziativa dei pubblici ministeri. In sostanza, il problema è che, anche con riferimento al settore della pubblica amministrazione e del suo mal funzionamento, spesso si cerca un rimedio nel ricorso alla sola giustizia penale.
Infine, l’abrogazione del delitto non pare risulti sostenibile alla luce degli obblighi internazionali e dei vincoli comunitari, a partire dalla Convenzione di Merida del 31 ottobre 2003 all’ultima direttiva contro la corruzione del giugno 2023, tant’è vero che la fattispecie di abuso di ufficio è presente in tutti i paesi occidentali, spesso descritta in termini anche più generici rispetto a quanto può riscontrarsi in Italia.

Ciro Santoriello