CULTURA

Accogliere gli altri nel rispetto reciproco della dignità umana

By 20/09/2022Settembre 22nd, 2022No Comments

L’esperienza in una famiglia afgana, di Chiara Lanza, Psicologia Clinica Unito e tirocinante al Niguarda di Milano – Chiediamoci sempre: “Cosa ho io da offrire?” – “E’ bello sentirsi a casa”

Che cosa significa per un giovane vivere due settimane con una famiglia afghana? Quali sono i bisogni – espressi e non – di un richiedente asilo? Quale pregnanza può avere l’incontro con ciò che è “altro” da sé?
Quando si parla di Interculturalità, il rischio è sempre quello di essere ideologici e astratti, oppure nascondersi dietro un mero buonismo ed una sterile retorica.
Io ho avuto il privilegio di fare esperienza di cosa significhi che un reale incontro è possibile solo dentro un rapporto ricco di umanità, accoglienza e comprensione reciproche, dentro una vita condivisa ed un’apertura che consenta di andare oltre a tutti i pregiudizi e gli stereotipi che gravitano attorno a tale realtà e di provare ad abbracciare e cogliere i bisogni e le esigenze reali in cui ci si imbatte.
L’impatto non è semplice o in linea con le proprie aspettative: come giovane volontaria debordante di entusiasmo, sono arrivata a La Spezia pensando di organizzare la giornata di questa famiglia afghana nel modo in cui avevo in testa io, scandendo i tempi con attività e obiettivi che mi ero quasi fissata a priori. E invece, inserirmi nella loro quotidianità, ha significato rispettare i tempi della loro giornata, scandita dalla preghiera (cinque volte al giorno), dalla pulizia della casa e dalla cucina; ha significato abbandonare i miei progetti e le mie “pretese” iniziali, lasciando spazio a ciò di cui loro avevano bisogno e all’inatteso che non tarda mai a manifestarsi; infine, ha significato rispettare la loro diversità, un rispetto che nulla ha a che vedere con la sopportazione bensì con l’accettazione profonda e con la comprensione viscerale che ciò che è “altro da me” merita cura, riguardo e attenzione, anche quando non lo si capisce fino in fondo.
Durante queste due settimane, in me risuonavano inesorabilmente alcune domande: “Ma io cos’ho da offrire? Come posso star di fronte ai loro pianti disperati quando mi dicono che sentono la mancanza del papà, del figlio, del fratello? Qual è l’urgenza che mi è chiesta di assolvere, qui ed ora?”
Non penso ci sia una vera e propria risposta, ma posso provare ad abbozzarne una in virtù di quella che è stata la mia esperienza di convivenza con questa famiglia.
I richiedenti asilo, dietro il loro essere spesso molto richiestivi, in realtà stanno semplicemente esprimendo il bisogno di essere visti ed ascoltati, senza che il loro grido di aiuto rimbalzi e rimanga in sordina; di essere rassicurati in merito a quel che il futuro gli riserverà, dando loro una speranza e una prospettiva di vita nuova; di essere aiutati a sentirsi a Casa, anche a migliaia di distanza dalla loro terra d’origine, dalla quale si trovano costretti a fuggire; di non sentirsi “ospiti indesiderati” bensì accolti con semplicità e naturalezza, con frammenti di quotidianità e gesti che profumano di casa: le risate e le chiacchiere durante la cena, un film prima di dormire, una passeggiata, un bagno al mare, un abbraccio, un sorriso.
Tutto questo è racchiuso in quello che ci hanno scritto sulla maglietta l’ultimo giorno, prima della partenza: “Siete famiglia”. Non saprei dirlo in modo diverso, se non così. Due parole, solo due parole, capaci di racchiudere tutta la potenza di un incontro profondamente umano e denso di Vita. Lingua diversa, culture diverse, abitudini diverse, storie diverse. Eppure, sì, “siamo famiglia”.
A tal proposito, aggiungo una citazione di Gandhi, che io trovo di una verità disarmante: “La nostra capacità di raggiungere l’unità nella diversità sarà allo stesso tempo la bellezza e il banco di prova della nostra civiltà”
Questo è un po’ l’augurio per me stessa e per tutti: che possiamo costruire, giorno dopo giorno, un mondo in cui l’Altro non sia il nemico, bensì una possibilità di incontro, una risorsa, una Promessa.

Chiara Lanza