
Il prof. Roberto Frascinelli, commercialista e presidente della Fondazione Piero Piccatti-Aldo Milanese ODCEC di Torino, analizza i “principi fondamentali” che tutelano diritti di libertà, rispetto delle minoranze, stato di diritto e sostanziale uguaglianza dei cittadini, partecipazione diretta dei cittadini alla funzione pubblica – Contributi e risorse finanziarie
La Costituzione della Repubblica Italiana è la legge fondamentale dello Stato italiano; è posta al vertice della gerarchia delle fonti dell’ordinamento giuridico della Repubblica. E’ entrata in vigore il 1° gennaio 1948 ed è composta da 139 articoli e 18 disposizioni transitorie e finali (attualmente sono stati abrogati 5 articoli) suddivisi in quattro sezioni: – “Principi Fondamentali” (artt. 1-12); – Parte Prima: “Diritti e Doveri dei cittadini” (artt. 13-54); – Parte Seconda: “Ordinamento della Repubblica” (artt. 55-139); – “Disposizioni transitorie e finali” (disposizioni I – XVIII).
Il progetto democratico “racchiuso” nella Costituzione della Repubblica accoglie non solo la tutela di diritti di libertà, del rispetto delle minoranze e dello stato di diritto, ma prevede l’uguaglianza sostanziale dei cittadini, il perseguimento della trasformazione della società in stretta correlazione con i diritti sociali da ritenersi indispensabili alla sua attuazione, la partecipazione diretta dei cittadini all’esercizio delle funzioni pubbliche e la struttura articolata dell’esercizio del potere nell’ambito dello Stato: dunque la struttura o apparato dello Stato, proprio per disposizione della Carta Costituzionale e insieme ai diritti e doveri previsti per i cittadini, assume un ruolo primario.
Però, affinché lo Stato sia nelle condizioni di poter provvedere alle necessità di ciascun cittadino, esso deve disporre delle risorse finanziarie/economiche da spendere per l’erogazione dei servizi e per l’attuazione e il raggiungimento dei fini collettivi di interesse generale cui lo Stato stesso è preposto, e che si realizza in una utilità finale per la collettività: conseguentemente la ripartizione degli oneri relativi ai suddetti obiettivi deve avvenire attraverso il criterio della capacità contributiva di ciascun cittadino come previsto dalla stessa Costituzione.
L’art. 53 della Carta Costituzionale, infatti, recita: <1. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. 2. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.>
Il TRIBUTO va quindi inteso come il contenuto di una prestazione ineludibile posta in essere da e per la pluralità di soggetti appartenenti alla comunità dello Stato e con l’espresso divieto di prevedere tributi che non siano correlati ad una effettiva capacità contributiva; il tributo rappresenta, dunque, da un lato il dovere inderogabile di solidarietà e dall’altro, in ossequio ai diritti inviolabili tutelati e garantiti dall’art.2 C., il riconoscimento del diritto eguale per tutti i cittadini di disporre di una capacità reddituale/patrimoniale necessaria per mantenere un livello minimo di dignità della persona.
L’art.2 della Costituzione recita: “La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Detto articolo chiarisce che il principio della solidarietà sociale considera la libertà non solo come un limite al soddisfacimento dell’arbitrio individuale ma anche come baluardo per realizzare la pienezza dei valori della persona e generare la collaborazione positiva dei singoli cittadini per la realizzazione del bene comune.
Non viene ritenuto avente capacità contributiva il cittadino che non abbia i mezzi sufficienti alla propria esistenza in quanto l’imposizione fiscale non può essere causa di sottrazione di risorse necessarie alla sussistenza di se stesso e della propria famiglia: è la stessa Costituzione che tutela economicamente la famiglia garantendo il diritto ad una retribuzione sufficiente ad assicurare una esistenza “libera e dignitosa” (artt. 29, 31 e 36 C.).
La Corte Costituzionale ha sancito il principio della intangibilità del “minimo vitale” lasciando al legislatore l’individuazione della misura minima al di sopra della quale sorge la capacità contributiva; rimane da chiarire da parte del legislatore se la norma in questione riguarda unicamente i bisogni “fisici” oppure se, essendo l’obiettivo quello di garantire una vita dignitosa, si debbano allora anche considerare le esigenze di ordine intellettuale e morale altrettanto degne di tutela.
Lo Stato ha raggiunto una articolazione strutturale in tema di collettività organizzata che richiede il perseguimento di fini collettivi (sanità, giustizia, ordine pubblico, sicurezza, assistenza sociale, istruzione, tutela ambientale etc.) attraverso attività ed opere strutturali sempre più complesse, da eseguirsi nell’interesse comune e comportando la disponibilità dei necessari fondi finanziari. La determinazione e l’attuazione dei criteri distributivi delle spese/carichi pubblici costituiscono un aspetto ineludibile della convivenza sociale organizzata dallo Stato.
Va quindi richiamato che il principio della capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione costituisce la regola fondamentale che è alla base della ripartizione di tali oneri tra i cittadini italiani; nel contempo la “progressività” cui il sistema tributario deve conformarsi rappresenta il meccanismo di riparto del carico fiscale destinato a redistribuirne i risultati alla comunità. In sostanza ciò comporta il depauperamento (in misura più che proporzionale) di ricchezza/patrimonio in capo a quei cittadini che dispongono di maggior ricchezza/disponibilità mentre, detto depauperamento, sarà meno che proporzionale in capo ai cittadini meno abbienti: in tal modo si vengono a ridurre le differenze tra i componenti della comunità per il tramite della redistribuzione del reddito, dando così attuazione al principio di solidarietà che la Costituzione pone tra i valori fondamentali dell’ordinamento giuridico.
La Corte Costituzionale con varie sentenze ha chiarito che inoltre .
Tra gli “indici” più rilevanti rientrano il “reddito”, il “patrimonio” (quest’ultimo in quanto espressione autonoma di forza economica) ed il “consumo” (quale fonte di capacità contributiva indiretta). Va precisato a proposito di “consumo” che i criteri di capacità contributiva e di progressività non esonerano comunque i cittadini disagiati dal pagamento delle “imposte indirette” di cui la principale è rappresentata dall‘IVA. In sintesi, l’art. 53 C. sancisce che tutti i cittadini (compresi gli apolidi e gli stranieri) residenti in Italia hanno il dovere di pagare le imposte con il limite (costituzionale) del rispetto della capacità contributiva ovvero della reale capacità economica disponibile. Infatti, il dovere di concorrere alle spese pubbliche è da intendersi in stretta correlazione con quanto sancito dagli articoli (da ritenersi fondamentali) rubricati al n. 2 e 3 della Costituzione, i quali manifestano il principio della solidarietà e della eguaglianza tra tutti i cittadini italiani.
L’interesse della cittadinanza (interesse fiscale) di ottenere le risorse economiche e finanziarie indispensabili per conseguire e realizzare le finalità pubbliche è strettamente correlato al criterio di riparto dei carichi fiscali tra gli appartenenti alla predetta comunità, criterio a sua volta vincolato dalla individuazione della singola capacità contributiva rappresentata dalla misura e dal limite dell’intervento normativo.
L’art. 53 della Costituzione evidenzia quindi l’interesse generale della cittadinanza al coinvolgimento di tutti i cittadini nel regolare pagamento dei tributi in quanto tale interesse è strettamente correlato alla protezione dei valori di integrazione sociale dei cittadini stessi.
Il fondamento del dovere di contribuire alle spese pubbliche non deve essere percepito dal cittadino come espressione di subordinazione e soggezione verso lo Stato bensì come espressione del vincolo della sua appartenenza e partecipazione alla comunità (vincolo di cittadinanza) in quanto è proprio il “tributo” che permette al cittadino, quale contribuente, di partecipare al progresso materiale e morale della società cui appartiene e dunque anche di se stesso.
Ne discende che “interesse fiscale” e “capacità contributiva” rappresentano gli elementi fondamentali di una società fondata sul rispetto delle leggi e finalizzata alla garanzia di una corretta convivenza civile anche se, inevitabilmente, caratterizzata da conflittualità. Infatti la prestazione “coattiva” di concorrere alle spese pubbliche (dovere costituzionale) costituisce nel contempo un limite ai diritti soggettivi proprio per la finalità suprema di conseguire il principio di “solidarietà” che si esprime anche da un punto di vista economico.
Un aspetto pratico di fondamentale importanza è relativo al fatto che la “Giurisdizione Tributaria” debba essere affrancata dai legami con il Ministero delle Finanze cui compete la funzione erariale; infatti il compito della stessa non è quello di svolgere una funzione di controllo interno circa l’operato dell’Amministrazione Finanziaria bensì quello di valutare, con il ricorso di un procedimento giurisdizionale, se la imposizione fiscale applicata ad un contribuente è attuata nel rigoroso rispetto della legge e delle regole che la stessa Amministrazione Finanziaria deve osservare.
Se al cittadino compete da un lato il dovere di partecipare alle spese relative al funzionamento dello Stato, dall’altro ha il diritto ad un giusto e corretto trattamento fiscale e quindi ad un giusto processo tributario regolato dalla legge ai sensi dell’art. 111 della Costituzione della Repubblica Italiana. Assume pertanto grande rilevanza il documento “Lo Statuto dei diritti del Contribuente” (approvato con Legge ordinaria il 27 luglio 2000 n.212 poi modificato con le Leggi n. 156/2015 e n. 189/2016) in cui viene statuito che i principi generali in esso contenuti sono ad ogni effetto da considerarsi attuazione degli artt. 2, 23, 52 e 97 della Costituzione. Infatti l’art.10, primo comma, dello Statuto del Contribuente recita “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”.
In conclusione, se il Contribuente è per legge tenuto a garantire un contributo per il funzionamento dell’apparato statale, lo Stato stesso diviene un erogatore di servizi sempre più complessi e la situazione straordinaria come quella attuale – caratterizzata da una grave crisi economica e finanziaria associata purtroppo a fenomeni sempre più ricorrenti di corruzione ed evasione di imposta (fenomeno questo disgregante dei rapporti civili di convivenza) – obbliga lo Stato a sostenere l’erogazione di massicci servizi sociali con il fine di contrastare la elevata diversificazione delle distanze sociali.
La Costituzione quindi non si limita ad affermare che i tributi debbano essere pagati ma fornisce una risposta alla “coscienza giuridica” propria di ogni cittadino evidenziando la correlazione tra tributo e utilità pubblica; il che vuol anche significare un comportamento etico rivolto sia al cittadino, che è chiamato a concorrere al bene comune rappresentato da quella “spesa” effettuata nell’interesse generale, sia allo Stato che è chiamato ad indirizzare nell’interesse generale quanto ricevuto in termini di entrate per gettito tributario.
Tuttavia nella nostra realtà pur con la consapevolezza dei valori contenuti nelle nostre leggi, si osserva ancora un rilevante “deficit” circa il consenso fiscale da parte dei cittadini, come anche sussiste un “deficit” circa l’attuazione dei principi costituzionali da parte dello Stato (e che purtroppo è anche da ritenersi concausa del precedente): il che permette di richiamare Friedrich Schiller nel suo “Lettere sull’educazione estetica dell’ uomo” dove viene affermato che “la migliore Costituzione, quantunque sia coniata dalla Sapienza in persona scesa dall’Olimpo per renderla agli uomini, resta comunque affidata all’attuazione di questi ultimi”.
Roberto Frascinelli