CULTURA

BREXIT, LA GRAN BRETAGNA IN RECESSIONE. GLI UNIVERSITARI DELL’UE LASCIANO LONDRA

By 22/02/2023Febbraio 24th, 2023No Comments

Gli ultimi tre anni i peggiori della storia recente – Tra i Paesi del G7 soffre la crisi post pandemia – Il 30% degli studenti “stranieri” in difficoltà per una burocrazia esasperante – Importanti compagnie ora preferiscono stabilirsi a Milano

Il 31 gennaio 2023 per i Britannici è una data importante: sono passati, infatti, esattamente tre anni da quando il regno Unito è uscito definitivamente dall’Unione Europea, dopo il periodo di transizione succeduto al referendum del 2016 che vide i sostenitori della Brexit vincere.
Questo anniversario, però, non ha contemplato alcun festeggiamento e in tre anni tutte le promesse del Partito Conservatore, fervido promotore dell’uscita dall’Ue, si sono infrante contro il muro della realtà: la Gran Bretagna, economicamente parlando, è tra i Paesi del G7 che più sta soffrendo della crisi post-pandemia e delle conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina, e che ad oggi è entrata ufficialmente in recessione. Molti sono i settori che sono stati colpiti duramente da tale decisione e che stanno pagando a proprie spese le conseguenze di non poter più usufruire del mercano unico europeo.
Il Fondo monetario internazionale ha previsto che nell’anno in corso l’economia britannica si contrarrà dello 0,6% a differenza delle previsioni di crescita degli altri Paesi del G7. Inoltre, la produzione economica inglese si è ridotta di circa il 5,5% a metà del 2022 rispetto all’anno precedente; lo stesso volume del commercio estero britannico è stato inferiore del 7% e gli investimenti hanno registrato un calo dell’11% rispetto a quelli di un gruppo di circa 40 Paesi comparabili, che avevano un Pil simile negli anni precedenti, così come è stato dimostrato dai calcoli del Gruppo di esperti del Centro per la riforma europea.
Uno dei fattori che ha contribuito al calo dell’esportazione verso l’estero delle aziende inglesi è da attribuire all’aumento della burocrazia tra la Gran Bretagna e l’Unione Europea (considerata ancora oggi il maggior mercato economico del Regno Unito), che ha danneggiato soprattutto i produttori più piccoli che non hanno capacità e personale per affrontare i tempi più lunghi e i costi aggiuntivi dovuti alla maggiore documentazione e controlli delle merci verso il mercato europeo.
Altro aspetto non secondario che lamentano le piccole e medie imprese britanniche è legato alla difficoltà di trovare materie prime e pezzi di ricambio che in passato reperivano senza problemi dall’Europa, ma che ora hanno raggiunto costi sempre più elevati che hanno costretto molte aziende, soprattutto a conduzione familiare, a chiudere ogni attività. La Camera di Commercio britannica ha rilevato attraverso i propri membri, che ben il 77% delle aziende ritiene che l’accordo commerciale raggiunto tra Ue e Gran Bretagna non abbia contribuito ad aumentare le vendite o a far crescere il proprio business. Quasi il 56% delle imprese ha difficoltà ad adeguarsi alle nuove regole imposte dalla Brexit e il 44% segnala problematicità nell’ottenere i visti per il personale. Aver deciso di abbandonare l’Ue ha fatto sì che le aziende britanniche fossero meno competitive sul mercato ed ha aumentato i ritardi nella fornitura di pezzi di ricambio, rallentando la produttività e facendo lievitare i costi di gestione.
La Brexit, poi, ha contribuito ad innescare un ulteriore problema che ha colpito le attività economiche, compresi i servizi: la mancanza di personale. La fine della libera circolazione tra i residenti dell’Unione Europea e del Regno Unito ha comportato conseguenze pesanti non solo sull’industria dei viaggi, ma anche sul mercato del lavoro. È sempre più complicato a causa dei documenti da fornire e delle lungaggini dovute ai visti, trovare e gestire i lavoratori qualificati e semi-qualificati che la Gran Bretagna riceveva dall’Europa. Compagnie di spessore, come Goldman Sach, JP Morgan e Banca d’America, solo per citarne alcune, hanno deciso di chiudere i propri uffici di Londra a favore di altre città europee, come Milano.
Secondo i dati di un recente sondaggio, gli scambi commerciali tra Regno Unito ed Unione Europea sono calati del 16%, danneggiando soprattutto l’economia britannica. Uno dei settori più colpiti dalla Brexit risulta essere quello delle Università, che hanno registrato un drastico calo delle iscrizioni di giovani europei: c’è stato il 53% in meno di immatricolazioni nell’anno accademico 2021/22 rispetto all’anno precedente; e per il prossimo anno si prevede un’ulteriore diminuzione, soprattutto di studenti provenienti da Italia, Germania e Francia.
Tre sono gli aspetti che hanno scoraggiato gli studenti ad iscriversi presso le Università britanniche: in primo luogo le modifiche relative alle politiche e procedure sull’immigrazione, che hanno reso più complicato ottenere i visti per gli studenti dell’Ue; in secondo luogo, l’aumento considerevole delle tasse universitarie, in quanto gli studenti europei non possono più contare su tariffe agevolate ed ormai sono equiparati agli universitari extra-Ue. Il terzo fattore è legato all’incertezza sul proprio futuro lavorativo nel Regno Unito.
La maggior parte degli Atenei britannici ha posto all’attenzione del Governo tale problematica: la perdita di giovani europei contribuisce ad indebolire le finanze dei college e a ridurre la loro attrattiva nei confronti dei ricercatori di alto livello. Gli studenti europei garantivano, inoltre, introiti a lunga durata, proprio perché si iscrivevano a corsi di laurea triennale o quadriennale. L’aumento delle iscrizioni da parte di giovani internazionali, in particolare cinesi, non riesce a sopperire il calo degli europei, anche perché gli studenti extra-Ue si trasferiscono solo per corsi post-laurea di un anno o massimo due.
La Brexit invece delle opportunità promesse ha portato una grave crisi economica dovuta ad un’inflazione galoppante e ad un crollo dei consumi significativo, dovuto all’aumento di beni alimentari di prima necessità, che ha registrato solo nell’ultimo mese un +16,7%. Conseguenza di tutto ciò è una serie di scioperi che ha visto scendere in piazza lavoratori di tutti i settori economici più significativi del Regno Unito, bloccando di fatto il Paese.
Tutti gli ultimi sondaggi dimostrano come i britannici si siano pentiti di aver votato per la Brexit e, rispetto ad un anno fa, ben il 65% vorrebbe un nuovo referendum per decidere se rientrare nell’Unione Europea. Il 30% di coloro che votarono nel 2016 a favore della Brexit, ora desidera rapporti più stretti con la Ue.
Secondo il “The Indipendent”, che ha commissionato il sondaggio, tale dato di pentimento è dovuto al fatto che i cittadini britannici hanno constatato a proprie spese come l’economia, l’influenza globale del Regno Unito e il controllo dei propri confini siano peggiorati dopo l’uscita dall’Unione Europea. Ovviamente questa prospettiva rimane solo un mero desiderio, in quanto né il partito Conservatore né l’opposizione ritengono fattibile ed auspicabile una nuova consultazione.
Tirando le somme di questi tre anni, la Brexit invece di permettere alla Gran Bretagna di farle ritrovare quel ruolo centrale che ha ricoperto per decenni nel mondo e che fu promesso dai sostenitori del “Leave”, ha contribuito solo a far precipitare il Paese in una crisi senza precedenti, rendendolo più debole e più povero.

Antonella Formisano