
In Usa anche gli ecologisti sono per il nucleare pulito – Una nazione che guarda al futuro – Miliardi di dollari per un orizzonte decennale: è una nuova sfida industriale colossale – Gli investimenti tampone del nostro bel Paese – Il “problema” delle piste alpine che preoccupa gli sciatori italiani
Le temperature primaverili che ci hanno accompagnato nel mese dicembre (con temperature massime tra i 7 e i 10 gradi e le minime tra l’1 e i cinque gradi), le scarse precipitazioni che hanno caratterizzato gli ultimi mesi (a esclusione della nevicata del 15 dicembre) ci hanno, ancora una volta, messo davanti agli effetti di un cambiamento climatico ormai innegabile.
E per coloro che provano ancora a negare, magari citando le copiose nevicate e le (rigide…) temperature della costa orientale degli Stati Uniti dello stesso periodo dovrebbe essere sufficiente accedere una delle tante webcam della città dello Stato di New York per vedere che quelle montagne di neve sono ormai ridotte a una spolverata e che le temperature sono tornate sopra la media.
In un mondo ormai diviso in fazioni su qualunque aspetto che riguarda la nostra vita più che alle temperature e alle precipitazioni degli Stati Uniti bisognerebbe analizzare cosa sta succedendo oltre oceano non tanto e non solo per controvertere un cambiamento climatico che sembra ormai irreversibile ma per creare le condizioni per poter continuare a vivere e garantire vita e prospettive a questa e alle generazioni che verranno.
In un interessante articolo su Il Foglio del 7 gennaio scorso dal titolo Protagonisti e retroscena del nuovo miracolo americano il bravo e sempre puntuale Stefano Cingolani (solo omonimo del Ministro del governo Draghi) scrive “basta sollevare un pochino lo sguardo per vedere la nazione che ha ripreso a correre. Potrà inciampare negli ostacoli enormi che trova davanti, potrà fermarsi, fare un passo avanti e due indietro ma nuove finestre si spalancano sul futuro. Il Nevada? Sarà l’Arabia Saudita delle energie rinnovabili. La California? La regina del vento. L’Arizona? Il paradiso del sole. La Carolina? Anche gli ecologisti sono per il nucleare pulito, ben più del petrolio che i texani non sanno come rimpiazzare. Vinta la lotta per la terra, consumata la corsa all’oro, raggiunto il primato tecnologico, è questa la nuova frontiera”.
I dati che suffragano le parole sono ancora più roboanti: 1.200 miliardi di dollari messi in campo dall’amministrazione Biden nell’autunno scorso per colmare il gap infrastrutturale, 280 miliardi di dollari per sostenere la domanda nazionale di semiconduttori e microprocessori – fondamentali, in primis, per gli impianti fotovoltaici – 369 miliardi per l’Inflation redution act destinato proprio alle rinnovabili.
Risorse che hanno un orizzonte temporale decennale (il tempo per una riconversione energetica seria e non demagogica) che ha, però, iniziato a fare da acceleratore fin da subito.
I consumi a dicembre 2022 negli Stati Uniti sono cresciuti dell’8% rispetto allo stesso periodo del l 2021 e l’indice di fiducia dei consumatori è ben più alto della media annua e il tasso di disoccupazione è del 3,7%, tre volte meno che quello dell’unione europea (7,9% quello del nostro paese).
Come ci suggerisce Cingolani addentrandoci nel mondo di Wall Street e attenendoci all’immortale adagio follow the money scopriremmo che 150 mila miliardi di dollari (….) “sono in gioco in quella che la segretaria del Tesoro degli Usa chiama la transizione globale”.
Certo non tutto è oro è quel che luccica. Sono presenti forti resistenze: da un lato le Sette Sorelle e le lobby dei delle fonti fossili e dall’altro i movimenti ambientalisti contrari a pale eoliche e a pannelli fotovoltaici ma “il treno è partito e sarà difficile fermarlo. Un novo complesso industriale e militare sta prendendo forma come accadde negli anni 50 e 60 e se allora sfidava l’Unione Sovietica oggi sfida non solo la Russia ma, soprattutto la Cina ma anche l’Europa, isole britanniche comprese”.
Dai campi solari del Nevada che si estendono allo Utah, all’Arizona, al New Mexico e al Texas, ai progetti eolici offshore del Massachusetts per arrivare ai piccoli reattori nucleari del Nord Carolina sono tanti i progetti a cui il poderoso piano di investimenti federale ha dato ulteriore linfa, nella consapevolezza che la corsa alla sfida ai cambiamenti climatici e allo sviluppo di nuove tecnologie sono cominciate in tempi non sospetti.
E in Italia? In Italia non c’è lo scontro tra la lobby del petrolio e quella degli ambientalisti: nel nostro Paese, per prendere il titolo dell’articolo di Francesco Erbani su l’Essenziale – settimanale de l’Internazionale – del 12 gennaio, Le energie rinnovabili dividono le associazioni ambientaliste.
“A incrociare le armi sono anche le associazioni ambientaliste tenacemente favorevoli alle rinnovabili e quelle quantomeno scettiche se non diffidenti. La faglia è aperta da tempo, ora però si è spalancata”.
Da un lato Legambiente, WWF e Fai, dall’altra Italia Nostra, amici e della terra e Lipu, oltre ai consueti comitati locali. I primi hanno redatto un documento in cui si spinge in modo netto verso l’installazione di parchi eolici e fotovoltaici, denunciando ritardi e l’eccessiva burocrazia, dall’altra chi denuncia l’alterazione del paesaggio, l’inopportunità di certe operazioni che vanno a vantaggio di operatori privati, spesso stranieri.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: discussioni, dibattiti, dispute, ricorsi, appelli. E per usare la metafora ferroviaria di poc’anzi se negli States il treno è partito e sarà difficile fermarlo da noi dobbiamo individuare ancora il binario. Intanto il tempo passa, si affrontano le emergenze con misure temporanee, non solo non si pensa alle prossime generazioni ma nemmeno alle prossime elezioni, per riprendere la massima di James Freeman Clarke, erroneamente attribuita al nostro De Gasperi.
La mancanza di neve sulle nostre montagne è più motivo di preoccupazione per chi scia che per chi dovrà fare i conti con una possibile seconda estate di siccità.
La soluzione al problema non è figlia di un vero discernimento, non porta a una vera presa di coscienza del problema ma forse lo aggrava ancora di più, come ha scritto Mario Tozzi su La Stampa del 16 gennaio.
“Con un metro cubo di acqua si possono produrre in media da 2 a 2,5 metri cubi di neve; per l’innevamento di base di una pista da 1 ettaro occorrono almeno 1.000 metri cubi di acqua, per non dire degli innevamenti successivi, che richiedono un consumo nettamente superiore. La Cipra (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) calcola che, per i 23.800 ettari di piste innevabili delle Alpi, occorrono ogni anno circa 95 milioni di metri cubi di acqua, pari al consumo annuo di una città con 1,5 milioni di abitanti. Per sciare.
L’acqua utilizzata viene attinta dalla rete idrica naturale e da quella potabile, eventualmente anche con la costruzione di bacini di raccolta appositi che garantiscono la disponibilità in breve tempo di grandi quantità. Per innevare l’intero arco alpino, il consumo energetico totale equivarrebbe a 600 GWh, corrispondente all’incirca al consumo annuo di energia elettrica di 130.000 famiglie di quattro persone. Sempre per sciare.
Consumi extra di energia e conseguenti emissioni clima alteranti hanno il simpatico effetto di incrementare la forzante antropica all’effetto-serra, aumentando la fusione di neve e ghiacci e, dunque, spingendo a innevamenti artificiali ancora più massicci”. Senza parlare delle continue colate di cemento che invadono le montagne anche dove, tra qualche anno la neve sarà un pallido ricordo.
Per tornare negli Stati Uniti si stima che circa centoquaranta milioni di case debbano rifare il sistema di riscaldamento e raffrescamento – con tutto quello che questo può comportare per aziende e installatori – mentre da noi il consumo di suolo, per nuovi complessi residenziali, sembra non abbia mai fine.
L’unica speranza è che così come negli anni ‘50 e ‘60 l’american way of life arrivò a condizionare le politiche industriali e di sviluppo del nostro Paese, le scelte che oggi stanno riportando gli Stati Uniti a unire la lotta al cambiamento climatico e lo sviluppo possano portarci sul binario giusto.
Sempre che nel frattempo non cambi del tutto il mezzo di trasporto.
Alessandro Battaglino