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CANADA, UCRAINA E ITALIA: FUOCO E ALLUVIONI AGRICOLTURA DEVASTATA, L’AFRICA HA PIU’ FAME

By 26/06/2023No Comments

Nel Nord America si annuncia una estate rovente – Condizioni climatiche, guerra, l’esplosione della diga di Nova Kakhovka,danneggiano gli ecosistemi – Il mercato cerealicolo fortemente condizionato e prezzi alle stelle – I dati statistici

I grandi incendi divampati in quasi tutto il territorio del Canada stanno generando danni ambientali senza precedenti e, a tal proposito, i dati del Canadian Interagency Forest Fire Centre evidenziano che al momento ne sono presenti ben 447, di cui il 50% definito come “fuori controllo”, con una superficie coinvolta di oltre 4,8 milioni di ettari. Tale area risulta già nettamente superiore a quella interessata lo scorso anno (che in tutto il 2022 ha riguardato una superficie di 1,5 milioni di ettari), mentre per trovare livelli superiori a quelli attuali occorre tornare al secolo scorso, e in particolare al 1995, anno in cui bruciarono circa 7,1 milioni di ettari.
Dal momento che, purtroppo, gran parte degli incendi non sono stati ancora domati e che secondo alcuni esperti essi potrebbero durare per tutta l’estate (con effetti rilevanti nei mesi di luglio e agosto), il tristissimo primato del 1995 potrebbe essere addirittura battuto.
Le cause di questi roghi sono da ricondursi alle condizioni climatiche sempre più estreme e acuite dal riscaldamento globale. Secondo l’ONU “le temperature più calde registrate negli ultimi anni stanno cambiando i modelli meteorologici e sconvolgendo gli equilibri naturali, il che comporta molti rischi per gli esseri umani e per tutte le altre forme di vita sulla Terra”. Gli effetti di tale cambiamento possono quindi produrre violente tempeste, siccità, riscaldamento e innalzamento degli oceani, perdita delle specie, mancanza di cibo, maggiori rischi per la salute, povertà e migrazioni.
I fumi e le polveri sottili generati dagli incendi in Canada sono stati trasportati dal vento fino agli Stati Uniti e in particolare nell’area di New York, andando a interessare una zona nella quale sono presenti circa 100 milioni di persone. A questo proposito, l’indice AQI-US di New York City, ossia l’indicatore che permette di misurare la qualità dell’aria, ha raggiunto nella giornata del 6 e 7 giugno rispettivamente quota 195 e 183, toccando livelli mai visti nella “Grande Mela” e allineati alle città storicamente più inquinate del pianeta. I valori registrati qualche giorno prima dell’arrivo della nube di fumo, per esempio il 30 maggio, risultavano “buoni” ed erano pari a 38 (ossia 5 volte in meno). Anche i dati delle polveri sottili, misurate attraverso l’indice PM2,5, hanno raggiunto una soglia di 140 contro il 9,3 del 30 maggio (dove i livelli erano considerati “ottimali”).
Si tratta quindi di condizioni insolite che hanno prodotto rilevanti effetti per la popolazione, in particolar modo per le fasce più fragili, richiedendo alle persone di restare nelle proprie abitazioni e di utilizzare le mascherine, analogamente al periodo della pandemia. Se quindi una parte del globo soffre per gli effetti degli incendi, l’altra parte del pianeta è vittima delle inondazioni.
La guerra in Ucraina, purtroppo, ha scritto un’altra tristissima pagina con la distruzione della diga di Nova Kakhovka, opera creata nel 1956 e da sempre considerata strategica.
L’esplosione della diga – che ha una capacità idrica tra le più elevate al mondo – ha generato un allagamento totale delle zone a valle, andando a colpire abitazioni civili e siti industriali, rilasciando materiali inquinanti, contaminando terreni e disperdendo mine, con effetti che potrebbero lasciare strascichi per parecchio tempo, anche modificando in modo rilevante gli ecosistemi naturali.
Secondo il Ministero dell’Agricoltura ucraino, le inondazioni causate dal crollo della diga (che interesserebbero circa 10 mila ettari di terreno agricolo) potrebbero creare danni per milioni di tonnellate di raccolti, in quanto senza una fonte di approvvigionamento idrico sarà impossibile la coltivazione di ortaggi, mentre per quanto riguarda i cereali e i semi oleosi sarà necessario passare ad un modello estensivo e con basse rese. L’assenza di irrigazione potrebbe inoltre trasformare – sempre secondo il Ministero ucraino – oltre 500 mila ettari di terreno coltivabile in “deserto”, aree sulle quali si raccoglievano in passato 4 milioni di tonnellate di cereali e semi oleosi per un valore di circa 1,4 miliardi di euro.
Una conseguenza immediata della distruzione della diga potrebbe essere la riduzione della produzione cerealicola, con minore quantità di prodotti agricoli per le esportazioni, che di fatto andrebbero a penalizzare i paesi più poveri, in particolare quelli africani.
A questo proposito la Coldiretti ha evidenziato che dopo l’allarme lanciato dal Ministero dell’Agricoltura ucraino sono aumentate le quotazioni internazionali del grano, aggiungendo che: “con l’Ucraina che rappresentava da sola il 10% degli scambi mondiali di grano le distruzioni provocate dalla guerra sconvolgono il mercato con effetti sui prezzi e sugli approvvigionamenti alimentari nei Paesi ricchi e soprattutto in quelli poveri”.
Dello stesso tenore è anche il commento di Confagricoltura, che afferma: “oltre al pesante impatto di carattere umanitario, il crollo della diga Kakhovka sul fiume Dnipro, in Ucraina, avrà rilevanti conseguenze sui livelli produttivi dell’agricoltura. I futures relativi al prezzo del grano sui mercati internazionali hanno già fatto registrare un aumento del 2,6%”.
In questo complesso contesto si inserisce anche la recente alluvione in Emilia Romagna, altro segno evidente dei cambiamenti climatici, che secondo l’Agenzia regionale per la sicurezza territoriale e la protezione civile ha interessato quasi 21 mila aziende agricole e coinvolto oltre 41 mila addetti. Sempre secondo la citata Agenzia “le coltivazioni ortofrutticole e vitivinicole colpite dall’alluvione rappresentano il 45% circa della superficie ortofrutticola regionale, pari a quasi 80 mila ettari” e purtroppo non mancano danni anche alla produzione di pesche e nettarine, così come per il settore zootecnico.
Per Coldiretti il comparto colpito presenta una produzione lorda vendibile di circa 1,5 miliardi di euro e con particolare riferimento al frumento afferma: “l’alluvione ha invaso i campi con la perdita di almeno 400 milioni di chili di grano nei terreni allagati dell’Emilia Romagna, dove si ottiene circa 1/3 del grano tenero nazionale, in un contesto internazionale particolarmente difficile”.
Ne emerge pertanto un quadro generale di grande difficoltà, non soltanto per l’agricoltura nazionale ma anche per quella globale, dove la contrazione della produzione non farà altro che aumentare i prezzi e ridurre il livello di sicurezza alimentare, a tutto danno di chi ha meno disponibilità economiche.

Flavio Servato