
Le nuove ricerche si basano sul principio di osmosi inversa: separare i sali dall’acqua, metodo efficace ma costoso, grazie anche all’utilizzo di energie rinnovabili che rendono possibile il recupero di magnesio – Preoccupano i dati di Copernicus e dell’OMS
I cambiamenti climatici sono, purtroppo, sempre più evidenti e stanno condizionando anche l’approvvigionamento delle risorse idriche, fondamentali non solo per la vita delle persone ma anche per lo svolgimento di attività agricole, zootecniche e industriali.
Secondo i dati di Copernicus (il servizio meteorologico dell’Unione Europea), l’estate 2023 è stata la più calda mai registrata a livello globale. Tali effetti si sono sentiti anche nel nostro Paese, con temperature medie elevate, che hanno causato incendi, scioglimento dei ghiacciai e siccità.
La carenza di acqua rischia di diventare un elemento di forte preoccupazione per il futuro e a riguardo l’OMS stima che entro il 2025 metà della popolazione presente sul nostro pianeta vivrà in aree caratterizzate da stress idrico.
A questo proposito, il primo report Water Economy in Italia – Water Target 2040 per la pianificazione della sicurezza idrica in Italia, a cura di Erasmo D’Angelis e Mauro Grass, della Fondazione Earth and Water Agenda e di Proger S.p.A., afferma che “sono molto chiari i danni e i nostri punti deboli, a partire dall’impreparazione generale del sistema Paese di fronte a problemi che necessiterebbero di uno scatto sia nelle politiche che negli investimenti. Le ricorrenti crisi idriche potrebbero, infatti, rivelarsi ancor più impattanti e preoccupanti della crisi energetica, o di altre crisi”.
I principali elementi di criticità possono essere superati attraverso un ammodernamento delle infrastrutture idriche, con un uso più consapevole dell’acqua, con la riduzione degli sprechi, con il controllo delle perdite di rete e con una maggiore capacità accumulo (ad esempio con invasi che trattengano le acque piovane o le nevicate invernali), mentre tra gli interventi per generare nuove risorse idriche si possono citare, in particolare, il riuso delle acque reflue e la dissalazione.
Nell’ambito della cosiddetta “economia circolare” anche l’acqua può essere riutilizzata e recuperata per altri utilizzi. A questo proposito, il citato rapporto afferma, infatti, che “il riuso dell’acqua reflua è ormai generalmente considerato come una delle operazioni più promettenti ed a minor costo per aumentare la dotazione di acqua là dove serve a fini irrigui, di utilizzo industriale e, in alcune aree con estrema scarsità di risorsa, anche a fini idropotabili”.
Secondo l’indagine “Il riutilizzo delle acque reflue in Italia”, realizzata da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche), le acque reflue depurate che potrebbero essere impiegate nel settore agricolo hanno un potenziale di 9 miliardi di metri cubi l’anno e purtroppo ne viene sfruttato soltanto il 5%, ossia 475 milioni di metri cubi.
Risultano inoltre fondamentali, in tutti i comparti, pratiche di recupero e riutilizzo dell’acqua: un caso di successo in tal senso è rappresentato dalla Mycroclean Italia, azienda di Gorgonzola che si occupa di decontaminazione microbica e particellare in campo aerospaziale, farmaceutico e microelettronico.
Grazie a innovativi sistemi di gestione dell’acqua, l’azienda è stata in grado di recuperare e riutilizzare ogni giorno circa 18.000 litri, con un risparmio complessivo a livello annuale di oltre 6 milioni di litri.
L’azienda sta inoltre definendo nuovi obiettivi in modo da recuperare ben 27.000 litri al giorno entro il 2024 (in modo da riutilizzare oltre 9 milioni di litri l’anno), a testimonianza del grande impegno a favore della sostenibilità.
L’acqua potabile può essere ottenuta anche attraverso la dissalazione, ossia l’eliminazione del sale contenuto nel mare. Il nostro pianeta si caratterizza per la presenza di moltissima acqua ma solo il 2,5% circa di essa è dolce.
Il sale può essere sostanzialmente eliminato attraverso due tecniche: una di tipo termico (che si basa sull’evaporazione dell’acqua) e una per osmosi inversa (con l’utilizzo di membrane che riescono a separare i sali dall’acqua).
Il secondo metodo appare più semplice e meno energivoro, anche grazie all’impiego di tecnologie di nuova generazione che potrebbero risultare molto efficaci.
A livello globale sono presenti circa 16.000 impianti di desalinizzazione, di cui 4.800 situati nel Medio Oriente e nell’Africa Settentrionale e 3.500 nell’Asia Orientale e nel Pacifico. In Europa il paese che utilizza in modo consistente queste metodologie è la Spagna, mentre in Italia la diffusione risulta contenuta seppur recentemente sia in aumento.
Secondo il citato rapporto Water Economy in Italia, i costi per la desalinizzazione sono tendenzialmente decrescenti grazie a nuove tecnologie produttive, a una ricerca molto attiva in tale settore, all’utilizzo di energie rinnovabili e a un miglior smaltimento della salamoia, anche con possibili riutilizzi industriali.
In particolare, gli impianti alimentati con energie rinnovabili (rispetto a quelli tradizionali che utilizzano combustibili fossili) consentono di produrre effetti positivi in termini ambientali e con il processo di dissalazione è possibile recuperare anche altri componenti utili, quali ad esempio il magnesio.
Si tratta quindi di una modalità, al pari del riutilizzo delle acque reflue, che – unita a un consumo idrico consapevole ed efficiente – potrebbe produrre positivi effetti a favore delle future generazioni, anche nel rispetto dei fondamentali obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030.
Flavio Servato