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Cuneo fiscale e taglio al costo del lavoro. Sbloccare 7 miliardi

By 20/09/2022Settembre 22nd, 2022No Comments

Radicale analisi sull’economia del senatore del PD, Mauro Laus: “Basta con le emergenze. Adottare subito provvedimenti strutturali, senza aspettare le sollecitazioni dell’UE – Controlli rigidi su appalti e subappalti – Morti bianche: è inciviltà – Energia e bollette, in pericolo 273 decreti

Senatore Laus, l’Italia da vent’anni soffre di una crisi degenerativa oggi aggravata dalla situazione internazionale. Il nostro Paese soffre più degli altri partner europei: perché per l’Italia, anche sul lavoro, è sempre emergenza?
Personalmente porrei la questione in altri termini: il nostro Paese sul fronte delle politiche del lavoro sconta un ritardo cronico nell’affrontare problematiche strutturali che nel tempo, in particolare gli ultimi anni, sono state aggravate da circostanze emergenziali. Da troppo si attende, ad esempio, una robusta azione per ridurre il cuneo fiscale, unica strada per sgravare le imprese e lasciare più soldi in tasca ai lavoratori. Nel mio partito sono sulla stessa linea di quanti continuano a ripetere che la riduzione del cuneo fiscale non debba considerarsi come una generalizzata riduzione del prelievo, ma una misura selettiva, un balsamo rigenerante per il potenziale produttivo delle imprese, indispensabile a tagliare il costo del lavoro, incentivando quindi le assunzioni.
E’ inaccettabile che in Italia ogni giorno un operaio muoia durante il lavoro. Quali sono gli strumenti legislativi che possono garantire maggiore sicurezza?
Tanti strumenti legislativi esistono già, piuttosto andrebbero declinati con maggior rigore e andrebbe coordinata meglio l’attività degli enti chiamati a utilizzarli. Inoltre i responsabili interni della sicurezza dovrebbero avere più poteri, ci vorrebbero più ispettori deputati ai controlli e maggiori dovrebbero essere le responsabilità esplicitate nella catena degli appalti e dei sub-appalti. Poi non dimentichiamoci che la normativa va adeguata al rapido e profondo cambiamento del mercato del lavoro, altrimenti, oltre a risultare inefficace, nei fatti rischia di essere superata.
Contratti di lavoro capestro, sia nel settore pubblico che nel privato, stipendi e salari sono bassissimi. Un operaio lavora 8 ore al giorno e percepisce 6/7 euro l’ora, lordi; un impiegato diplomato o neo laureato, guadagna 1200 – 1300 euro lordi al mese. L’Italia non è la Germania, ma l’Europa oggi più che mai dovrebbe garantire stipendi equi per tutti. Cosa suggerisce all’Unione Europea, al prossimo governo ma anche a imprenditori e sindacati?
Intanto su certi temi così cruciali non dobbiamo continuamente aspettare che sia l’Europa a sollecitarci, cosa che invece puntualmente avviene. E poi qui il ragionamento parte dalla annosa questione del rinnovo dei contratti, sempre sfasato rispetto all’aumento del caro-vita. Sul rispetto delle scadenze bisogna agire in via prioritaria dunque, ma come già detto, anche sulla pressione fiscale. Ai sindacati ripeto quel che ho già avuto modo di dire tante volte nel passato e che abbiamo tradotto anche in proposta di legge: è necessario procedere alla registrazione prevista dall’articolo 39 della nostra Costituzione, il quale giace inattuato. Solo così potrà essere fermata la proliferazione indiscriminata di contratti di lavoro – sono oltre 800 quelli depositati al Cnel – in modo da poter ottenere un effetto neutralizzatore degli accordi capestro e realizzare l’obiettivo di una equa retribuzione attraverso la contrattazione collettiva. Senza applicazione dell’articolo 39 l’unica via percorribile per risolvere il problema resta l’introduzione del salario minimo, sul quale molto mi sono speso in questa legislatura
Le imprese sono alla canna del gas, il lavoro manca, il costo della vita aumenta, i salari sono da sempre i più bassi d’Europa. Uno scenario allarmante. Come si esce dalla crisi?
Insisto nel dire che bisogna smettere di rincorrere l’emergenza del momento con misure tampone e affrontare le problematiche strutturali che attanagliano il nostro mercato del lavoro: agire sulle cause e non limitarsi a curare i sintomi. E’ un cambio di paradigma che deve, come istituzioni, farci abbandonare comportamenti ormai tossici per il nostro sistema economico. Penso ad esempio al rapporto tra pubblica amministrazione e imprese, sbilanciato a danno di queste ultime, che soffocano di burocrazia e talvolta di inutile pregiudizio. Serve uno stacco netto che lasci indietro le generalizzazioni e l’attitudine al conflitto speculativo tra le parti. Serve rinunciare all’approccio ideologico quando si affronta il tema del lavoro.
Con ulteriori sforzi, che inevitabilmente si dovranno fare, si potrà ridurre l’inflazione che oggi tocca la punta altissima, più 8,4?
In questo senso l’Europa può giocare un ruolo fondamentale. Prendiamo il tema del caro energia: l’auspicio è che le misure che noi chiediamo al governo – raddoppio del credito d’imposta per tutte le imprese in modo che possano pagare le bollette, un taglio al costo del gas perché ritorni al prezzo naturale e una bolletta “sociale” per le famiglie con i redditi più bassi – diventino scelte da condividere a livello europeo trovando in quella dimensione tempi e modi per attuarle efficacemente.
Aggressione all’Ucraina, aumento del costo del gas, dei carburanti, dell’energia, dei cereali, cambiamento climatico. Il morbo della politica mondiale non dà tregua. Il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca? L’Italia e l’Europa si arrenderanno all’arroganza della Russia?
Il nuovo Governo dovrà attuare delle politiche serie di risposta alla Russia attraverso un dialogo che non può che passare dalle istituzioni europee. In questa direzione l’accordo tra Francia e Germania, che consentirà a quest’ultima di disporre del gas di cui necessita, avvicina un’intesa sul price cap che eviterà forti ripercussioni sull’economie dei paesi membri, Italia in testa. Le imprese e i cittadini italiani dovranno, altrimenti, affrontare un inverno rigido e difficile: la risposta è un tetto europeo al prezzo del gas. Contestualmente sarà fondamentale dare nuovo impulso a investimenti sulle rinnovabili e all’estensione del credito di imposta per l’efficientamento energetico.
Il pozzo di San Patrizio si è esaurito, Draghi non ha accettato scostamenti di bilancio che avrebbero aggravato la situazione economica. Ma domani, l’Italia, quale radicale provvedimento economico condiviso dall’Europa può adottare per superare gli ostacoli e progettare una politica economica?
Non esistono formule magiche, né provvedimenti miracolosi. Quello che serve è una politica economica seria che guardi oltre le scadenze elettorali e i facili consensi, ma si ponga un orizzonte di medio lungo periodo. In questa difficile fase è necessario, innanzitutto, aumentare il credito di imposta per aziende energivore e pensare a una forma di calmierazione del mercato dell’energia per dare immediato sostegno alle imprese. E occorre intervenire sulle fasce sociali più deboli con uno sconto in bolletta. La sfida più grande, però rimane quella del PNRR. Il punto di partenza può e deve essere, ancora una volta, la capacità di spesa. Attualmente sono scaduti 17 provvedimenti attuativi e devono ancora essere approvati 273 decreti per sbloccare oltre 7 miliardi di euro, questo dimostra l’assoluta insensatezza di aver fatto cadere il governo Draghi da un giorno all’altro. Ma la resa non è un’opzione. Dobbiamo iniziare a spendere i fondi che l’Europa ha messo a disposizione attraverso il PNRR, è una partita troppo importante per farci trovare impreparati. L’Italia ha davanti a sé un’opportunità irripetibile di far crescere il Paese e non va sprecata.

Gianni Maria Stornello