
La Russia rischia di affamare anche l’Europa – Contrazioni delle esportazioni – Prezzi alle stelle – Le speculazioni crescono – Da tempo si torna a lavorare la terra
Con la caduta del muro di Berlino è stata di fatto sancita la fine della cosiddetta “guerra fredda” aprendo a un processo di globalizzazione – sia europeo che mondiale – che con il tempo ha creato mercati sempre più interconnessi e interdipendenti tra loro.
In questo contesto, il recente conflitto tra Russia e Ucraina ha contribuito a creare ulteriori e rilevanti rincari per alcune fondamentali materie prime, tra cui il gas, i carburanti e più in generale i prodotti agricoli, tanto da far ritenere a molti che la globalizzazione debba lasciare il posto all’autarchia, ossia a un modello economico orientato a massimizzare la produzione sul territorio nazionale al fine di ottenere un’autosufficienza economica e limitare le importazioni.
Questi aumenti, purtroppo, vanno ad inserirsi in un quadro economico già pesantemente condizionato dall’emergenza sanitaria. A questo proposito i dati del Centro Studi di Confagricoltura mostravano, già a novembre dello scorso anno, che la pandemia aveva comportato un notevole aumento dei costi di produzione per il settore primario (che è fortemente dipendente dal petrolio), con un aumento dei costi di produzione del 9,2% per le coltivazioni e dell’8,1% per gli allevamenti.
I prezzi al consumo, invece, erano aumentati solo dell’1,3% lasciando pertanto a carico delle imprese agricole gran parte dei rincari. Da settembre 2020 a settembre 2021 sono stati registrati aumenti del 51% per i lubrificanti, del 38% per l’energia elettrica, del 27% per i prodotti energetici, del 21% per i carburanti, del 18% per i fertilizzanti e dell’11% per i mangimi.
Con particolare riguardo ai cereali il futuro resta particolarmente incerto in quanto la guerra in Ucraina comporterà, secondo i dati CAI (Consorzi Agrari d’Italia), una contrazione delle importazioni che pesano per il 6% sul grano tenero e per il 15% sul mais, cui si deve aggiungere la recente decisione dell’Ungheria di sospendere le esportazioni, dove l’Italia importa quasi il 30% del grano tenero e il 32% di mais.
Sulla base dei dati dell’USDA (ossia il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti), la Cina entro l’estate potrebbe possedere il 60% delle scorte mondiali di grano e il 70% di mais, seppur le quantità residue siano comunque sufficienti per arrivare all’inizio del prossimo raccolto in estate.
Tutto questo comporterà inevitabilmente la ricerca di soluzioni per ridurre la dipendenza dalle importazioni. Per il settore primario, Confagricoltura ritiene necessario un allentamento dei vincoli esistenti su alcune coltivazioni, tra cui in particolare quelle cerealicole e a tal proposito il suo Presidente, Massimiliano Giansanti, ha affermato: “Un intervento europeo in questa direzione permetterebbe di incrementare in tempi brevi il potenziale produttivo nazionale già dei prossimi raccolti, per i quali le semine sono previste a breve”. Inoltre, aggiunge, “dare maggiore respiro a colture fondamentali, come quelle cerealicole e dei semi oleosi, indispensabili anche per zootecnia va proprio in questo senso: ridare all’Italia maggiore capacità produttiva e autosufficienza alimentare”.
Naturalmente l’ampliamento della produzione nazionale deve sempre accompagnarsi con il mantenimento di elevati standard qualitativi ed essere all’insegna di un adeguato livello di sicurezza alimentare. A questo proposito Gianluca Lelli, amministratore delegato di Consorzi Agrari d’Italia afferma: “chiediamo al Governo di evitare qualsiasi deregulation europea su OGM, limiti dei residui massimi o prodotti fitosanitari vietati già da qualche anno, per evitare di danneggiare gli agricoltori italiani che da sempre producono bene, nel pieno rispetto delle regole, e di penalizzare i consumatori”.
L’autarchia potrebbe quindi rappresentare un’opportunità anche per rivedere i nostri modelli economici. Essa, con i giusti accorgimenti, potrebbe fornire una spinta a favore delle energie rinnovabili (in modo da ridurre la dipendenza dal gas e dal petrolio) e potrebbe creare una nuova agricoltura di qualità, sicura, “made in Italy” e in grado di fornire la giusta remunerazione agli imprenditori agricoli.
L’autarchia potrebbe essere un’occasione per favorire il ripopolamento di alcune aree rurali che in questi anni sono state abbandonate, recuperare e mettere a regime quasi un milione di ettari di terreno coltivabile e incentivare una produzione di eccellenza in grado di garantire la biodiversità e creare effetti positivi per la filiera agricola e per il sistema economico.
Flavio Servato