CULTURA

Gerusalemme al centro dei colloqui di pace. Ogni mediazione concordata con gli States

By 23/03/2022Marzo 28th, 2022No Comments

Il premier Bennet riafferma il principio della salvaguardia della vita – I delicati equilibri imposti dai rapporti con Stati Uniti, Russia e Ucraina – dalla saggezza – Storia e saggezza insegnano

Il Pikuach Nefesh è il principio per cui la salvaguardia della vita umana supera qualsiasi altra considerazione religiosa. Sulla base di questo principio il Primo ministro Naftali Bennett, ebreo osservante, ha rotto lo Shabbat ed è volato a Mosca il 5 marzo scorso. Il suo obiettivo era quello di aprire un canale di mediazione con il presidente russo Vladimir Putin per lavorare a un cessate il fuoco nell’Ucraina invasa dall’esercito del Cremlino. Per provare ad aprire un tavolo di pace, Bennett, racconta una fonte del Financial Times, nel faccia a faccia di tre ore con Putin ha cercato di riformulare la narrazione del conflitto da esistenziale a una disputa territoriale. “Se possiamo essere d’aiuto, abbiamo la responsabilità di provarci. Il primo ministro… sta cercando di ridurre i divari”, le parole della fonte israeliana al settimanale britannico. Su questo dunque si concentra il lavoro del governo di Gerusalemme, avviato ormai dall’inizio dell’invasione russa quando è stato il presidente Vlodymyr Zelensky a chiamarlo in causa.
A due giorni dall’attacco infatti, mentre le forze russe entravano nella città ucraina di Volnovakha, e bloccavano i convogli di cibo e medicine destinati alla vicina città assediata di Mariupol, oggi simbolo della guerra, Zelensky aveva chiamato Bennett. Oltre un’ora di conversazione in cui, per bocca dello stesso presidente ucraino, i due avevano discusso della “aggressione russa e delle prospettive per i colloqui di pace”. Già allora era maturata l’idea di scegliere Gerusalemme come luogo per possibili negoziati. “Non sto parlando di incontri tecnici, ma di incontri tra leader – aveva twittato Zelensky – Credo che Israele possa essere un luogo del genere, specialmente Gerusalemme”.
Nel corso delle settimane Israele si è impegnata a concretizzare questa idea, cercando di mantenere i collegamenti tra le due parti. All’interno dell’esecutivo poi i due uomini chiave, Bennett e il ministro degli Esteri Yair Lapid, si sono divisi i compiti sul palcoscenico internazionale. Il primo è stato quello più cauto nelle espressioni di condanna verso la Russia. Sia per mantenere il canale del dialogo aperto con Putin, sia per tutelare gli interessi di sicurezza del proprio Paese. Senza il via libera di Mosca infatti l’aviazione militare israeliana non può colpire la longa manus (Hezbollah e altre milizie) dell’Iran in Siria. Interventi necessari per non trovarsi con il regime di Teheran – che a più riprese ha invocato la distruzione di Israele – come diretto vicino. La Russia ha sempre garantito queste azioni e Bennett si è impegnato perché su questo fronte nulla cambi. In gioco c’è la minaccia esistenziale di migliaia di missili iraniani potenzialmente schierati a pochi chilometri dal confine.
Per questo dunque il capo del governo di Gerusalemme non si è esposto. Ha lasciato però che a farlo fosse il suo partner di coalizione, Yair Lapid. Il capo della diplomazia israeliana ha chiarito la posizione del suo paese nel quadro internazionale. “Condanniamo l’invasione russa dell’Ucraina” e “saremo dalla parte giusta della storia”, ha ribadito più volte, spiegando che ogni mediazione è coordinata con gli Stati Uniti e con le potenze occidentali. E ribadendo l’impegno per sostenere l’Ucraina tra invio di aiuti umanitari e costruzione in loco di ospedali da campo per curare i feriti della guerra.
Zelensky, presidente ebreo nipote di sopravvissuti alla Shoah, però a Israele, dove vive una numerosa comunità ebraica ucraina e dove l’opinione pubblica è schierata con Kiev, chiede di più. E lo ha detto con toni severi alla Knesset: a noi servono armi, servono sanzioni contro la Russia, serve una scelta di campo chiara. “Ci rivolgiamo a voi per chiedervi aiuto”, ha detto il presidente ucraino esortando l’invio di armamenti. “Iron Dome è il migliore sistema di difesa antimissilistica. Perché non possiamo chiedervi di fornircelo? Questo è il momento in cui dovete fornire risposte a queste domande e dopodiché convivere con le vostre risposte. Gli ucraini hanno fatto la loro scelta 80 anni fa: abbiamo salvato gli ebrei e per questo ci sono tra noi tanti Giusti tra le nazioni. Il popolo di Israele ora deve fare la sua scelta”.
L’appello di Zelensky, che ha creato qualche disagio per il riferimento alle responsabilità ucraine nella Shoah. Se infatti i Giusti ci sono stati tra gli ucraini, molti di più furono i carnefici; furono coloro che scelsero di stare dalla parte sbagliata della storia, al fianco dei nazisti. Non un dettaglio, che non svia però dalla domanda centrale dell’uomo diventato simbolo della resistenza alla “ferocia del presidente Putin” (come ha detto il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi): può Israele mantenere la sua posizione neutrale? Il tentativo di mediazione, di salvare vite umane è “meritorio e benedetto”, sottolineava l’analista di Yedioth Ahronot Nadav Eyal. Il Pikuach Nefesh non a caso è in cima alla lista delle priorità per la tradizione ebraica. E su questa base Bennett vuole insistere. “Nelle ultime settimane abbiamo visto alcuni progressi nei colloqui tra Russia e Ucraina, ma le differenze su una serie di questioni chiave sono ancora grandi”, ha detto il Premier dopo il discorso di Zelensky alla Knesset. “Continueremo insieme ad altri nel mondo, per colmare le lacune e portare alla fine della guerra, questo – ha concluso – è il meglio che possiamo sperare”.

Daniel Reichel

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