CULTURAeditoriale

GIORGIA MELONI PREMIER COSA CAMBIERA’ IN ITALIA?

By 24/10/2022No Comments

Le vittorie si conquistano con lealtà e saggezza politica – Un inizio poco edificante – L’Occidente nel suo orizzonte e le molte perplessità – Scelte democratiche se si vuole rinnovare veramente il Paese

Giorgia Meloni, prima donna presidente del Consiglio dei ministri della storia d’Italia succede a Mario Draghi e si accinge a governare il Bel Paese in un momento storico (per un lungo periodo?) estremamente complesso, in cui i valori sociali, economici, politici, morali (no, non è… un rosario! ) hanno subìto una inflazione lenta e inesorabile che dura da almeno vent’anni. Si accinge a governare, ma ancor prima di insediarsi, nella fatidica giornata di elezione a presidente del Senato di Ignazio La Russa ha dovuto affrontare l’ira, non troppo funesta, del partner di coalizione, Silvio Berlusconi che si è sentito tradito. “Si sappia soltanto che non sono ricattabile” è stata la risposta di Giorgia Meloni. E il risentimento di Berlusconi, che poco prima aveva mandato a “vaffa” lo stesso La Russa, non s’è ancora placato e non si placherà. Del resto gli aggettivi rivolti alla Meloni scritti sul foglietto plurivisionato da Tv e social, erano eloquenti ma non giustificabili per un Cavaliere, soprattutto in un momento così delicato per l’iniziale vita istituzionale.
Sembrava che la “lite” tra gli alleati si fosse affievolita nel giro di 24 ore, quando il giorno dopo, con l’elezione a presidente della Camera di Lorenzo Fontana, carissimo amico di Matteo Salvini, gli animi si sono riaccesi, anche perché la diplomazia parlamentare è andata a farsi benedire, nel momento in cui le due cariche sono state assegnate alla destra, lasciando a bocca asciutta l’opposizione, calpestando così la nobile consuetudine della prima Repubblica. Tutto ciò, sotto i riflettori dell’Europa, retta da donne che hanno scalzato con eleganza, ma senza mezzi termini, il sesso “forte?” europarlamentare.
Una dimensione del tutto inedita, nella quale Giorgia Meloni sarebbe dovuta entrare in punta di piedi, non per delicatezza femminile, ma per un doveroso senso democratico, al quale dovrà abituarsi per farsi spazio in Europa e nell’Occidente dominato dagli Stati Uniti. Occhio quindi a quella flessibilità politica che le dovrebbe conferire maggior autorevolezza e alle “intemperanze” di alcuni personaggi della sua attuale alleanza che scalpitano per creare altro caos, desiderosi fino alla testardaggine, di affermare le proprie idee, non particolarmente geniali, anziché cercare di apprendere l’abc della saggezza e guardare al futuro con cautela.
Frattanto, nei tempi decisi da Mattarella e dalle esigenze imposte dalla prassi istituzionale, il Governo Meloni è andato in porto. Quanto resterà ancorato in acque sicure? Difficile dirlo, ma una riflessione va fatta: il pericolo maggiore per tutti gli italiani e per l’unità europea, potrebbe scaturire da quelle falangi di destra che sentono nostalgia per il passato fascista e dalla Lega che, fatte pochissime eccezioni, non ha mai dimostrato un progetto politico democratico.
Non è un compito facile quello della nuova premier. Sarà una corsa ad ostacoli, e per lei che è impulsiva, le difficoltà saranno sempre dietro l’angolo, anche perché il carattere degli italiani, di qualsivoglia colore politico, è sovente instabile. Che cosa dovrà fare la Meloni per governare? Dovrà innanzitutto dimostrare a sé stessa di essere riflessiva; dovrà valutare i pro e i contro interni e internazionali; tenere a bada uomini che si affidano al linguaggio di segni spesso incomprensibili, agli “avvisi” che lasciano adito a contraddittorie interpretazioni. E nel contempo, dovrà cercare chiedere aiuto all’Europa, agli Stati Uniti, no alla Russia di Putin, affinché si riesca ad acquistare più gas a minor prezzo, fare abbassare il costo delle bollette dell’energia che avviliscono l’immediato futuro degli italiani. E subito dopo? Snellire una organizzazione statale, la vecchia burocrazia imperante da sempre, andando incontro inevitabilmente agli apparati intermedi dello Stato: l’apparato degli inamovibili, di coloro che decidono il destino degli altri.
Dopo aver sistemato il toto-ministri e fatto salti mortali per giustificare l’aritmetica parlamentare, dovrà quindi affrontare, se è convinta di durare a lungo sulla poltrona di premier, rebus ben più ardui. Né più né meno come capita a molti sindaci, che non riescono ad amministrare le loro città.
Gli esempi sono molteplici, ma uno su tutti ha priorità assoluta: la ricostruzione dell’Italia fin dalle fondamenta. Non a parole, ma con i fatti. Dovrà dare una spinta vitale per rinnovare l’industria abbandonata, stravolta dalle speculazioni di finanzieri senza scrupoli che hanno preferito spostare le loro imprese all’estero per ad evadere le tasse: l’industria della migrazione moralmente più nefasta, mentre i lavoratori, quelli onesti, non arrivano alla fine del mese.
In Italia sventola da sempre la bandiera dei sogni. Le scuole si svuotano o crollano come ponti e strade ad ogni “bomba d’acqua”, il sistema idrogeologico è costantemente costellato da sciagure…inattese; la malavita conquista nuovi spazi, le baby gang infestano le città e commetto crimini, la povertà e la paura crescono e con esse il traffico di droga, mentre i pusher controllano le strade e il criminale mercato, i femminicidi si susseguono giornalmente ad opera di mariti, fratelli, figli, fidanzati più o meno segnalati da questure e carabinieri.
Ma chi può illudersi che la rinascita dell’Italia, ricominci quest’anno con l’avvento al potere di Giorgia Meloni? Se le dovesse andare bene, passerebbe alla storia. Sarebbe allora auspicabile che fin dai primi mesi di governo, forte dei consigli di Mario Draghi e dell’amicizia (tutta da dimostrare) con la Casa Bianca e la Nato, l’agguerrita presidente di Fratelli d’Italia, tenesse la barra dritta, non guardasse in faccia nessuno, e proseguisse il suo cammino sui binari della correttezza sociale e istituzionale, senza deragliare per compiacere il proprio elettorato.
La storia insegna: in Italia, Europa, Stati Uniti, Francia, Ungheria, ex Unione Sovietica; Cina, India, Paesi latino americani, Africa, per non tacere del Medio Oriente i capovolgimenti di governo hanno provocato disastri, guerriglie, morti e nella migliore delle ipotesi, aspre battaglie ideologiche.
Non vorremmo che dopo i primi malcelati idilli, tesi a cercare consensi e amicizie occasionali, si ritornasse alla contrapposizione politica, forte, allo scontro tra i partiti; si rinunciasse al dialogo, ultimo baluardo di una pur sempre imperfetta democrazia, ma capace di lasciare in libertà coloro che protestano e si scagliano contro le prepotenze di regime.
Vorremmo che questa svolta politica italiana si concludesse con un abbraccio delle opposte forze politiche.
Il discorso breve, ma commovente della senatrice a vita Liliana Segre, poco prima della proclamazione di La Russa a Presidente del Senato, è stata la pagina più alta di questa legislatura. L’Italia sconfitta nella seconda guerra mondiale, è stata ricostruita dai padri costituenti sul Lavoro e sulla Pace. Ne abbiamo goduto per settant’anni. Non dobbiamo dimenticarlo, perché lavoro e pace sono valori di un popolo povero come il nostro, ma comunque capace di rivendicare la propria cultura all’estero e nella politica interna.
Ed è nella politica interna forte e giusta che una nazione si fa valere e rispettare.
L’auspicio che sommessamente esprimiamo in questo commento, è che l’Italia non torni alle incertezze di sempre. L’Italia, e speriamo che la Meloni recepisca, dovrà attenuare i toni, aprirsi al dialogo, decidere ascoltando gli altri, ma traendo conclusioni, non nei dibattiti televisivi, dove l’eccesso di informazione genera disinformazione, ma nei dibattiti parlamentari tra maggioranza e minoranza e tra la gente comune. Due poli con differenti visioni politiche e sociali, ma pronti a raggiungere accordi per il bene comune.
Mario Draghi è sempre stato poco loquace, fermo nelle proprie idee che sono poi quelle concordate con il presidente Sergio Mattarella e con il Vaticano (per restare nei confini dell’Italia), non ha mai partecipato a dibattiti televisivi, sui quali i vertici Rai e le emittenti private dovrebbero aprire ampi spazi di riflessione.
Si guardi all’Europa con lealtà, si intervenga quando si dovessero ravvisare incertezze, ma con proposte che dimostrino la volontà dell’Italia di seguire i principi di una sana democrazia.
Le stelle atlantiche sono anch’esse divise: i democratici non possono godere di ampi margini di maggioranza, pressati come sono dai repubblicani capeggiati da Trump, e i repubblicani dovranno comprendere che la libertà non è la legge di casa-Trump. E che Trump non è l’uomo-esempio da seguire. La Meloni guardi in alto e indichi il cammino, se vuole dimostrare che il passato fascista – come più volte ha affermato – non le appartiene. E se vuol raggiungere gli obiettivi ambiziosi che si propone anche nell’Unione Europea, tenga a bada i personaggi che scalpitano nelle file dei suoi alleati, e dia retta alle donne coraggiose.
Ci saranno cambiamenti? E’ inutile far finta di niente. Si penserà ad una Repubblica presidenziale o semipresidenziale, come ce ne sono in Occidente, ma importante è che il Parlamento sia espressione di correttezza istituzionale, esempio per i cittadini italiani ed europei e compia scelte che diano respiro alla società, aiuti concreti a coloro che soffrono. Ossigeno, non l’aria inquinata provocata da missili, come fa il disinvolto “imperatore della Russia”.

Armando Caruso