
Le risposte penali a questo fenomeno devastante che non conosce confini – Trasferimento in tempo reale di ingenti capitali di denaro sporco e “ripulito” – I paradisi offshore – Anche le professioni liberali sono considerate “sensibili” – Più articolate le sanzioni giudiziarie
La quarta direttiva UE, n. 2015/849 definisce il riciclaggio come « a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b) l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; c) l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; d) la partecipazione a uno degli atti di cui alle lettere a, b, c, l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione».
A nessuna condotta criminale il legislatore italiano ha dedicato negli anni duemila una attenzione pari a quella che può riscontrarsi con riferimento al fenomeno del riciclaggio e del reinvestimento e reimpiego di profitti illeciti. Tale comportamento è in primo luogo stato oggetto di plurime previsioni incriminatrici: infatti, da un lato può sostenersi che oggi ogni forma di laudering money proveniente da reato è presidiata in sede penale ed il nostro legislatore, proprio per giungere all’obiettivo di arrestare la circolazione di tali disponibilità economiche, ha finanche accettato, introducendo il delitto di autoriciclaggio, di abbandonare il principio dell’irrilevanza penale delle condotte post factum prevedendo la punibilità anche di quanti reinvestano profitti derivanti da illeciti da loro stessi commessi; dall’altro lato, si registra la previsione di una serie di adempimenti e procedure di carattere preventivo – a loro volta presidiate da significative sanzioni, di natura amministrativa e penale – intese ad ostacolare o arginare tali attività di investimento, imponendo a soggetti pacificamente esterni al circuito criminale, ma che svolgono un ruolo essenziale nella gestione di patrimoni altrui, obblighi di segnalazione e rilevamento di operazioni, scelte imprenditoriali, opzioni di investimento che possano far sospettare lo svolgimento di attività di riciclaggio.
Non poi bastasse l’introduzione di questo quadro sanzionatorio, va altresì sottolineato come nel corso degli anni il legislatore sia intervenuto più volte sulla suddetta normativa, sempre nel senso di conferire alla stessa maggiore rigore e severità nel tentativo di rendere sempre più efficace la risposta sanzionatoria ad un fenomeno, quale quello del riciclaggio, che si ritiene abbia assunto connotazioni ormai assolutamente significative e sia in grado di condizionare il funzionamento dell’economia mondiale.
La ragione di una tale attenzione dedicata alle attività di ripulitura dei proventi illeciti è duplice. Da un lato, le attuali circostanze storiche facilitano indubbiamente la reimmissione nel circuito economico di profitti di provenienza delittuosa; dall’altro, oramai è indiscussa la rilevanza e la gravità delle conseguenze fortemente deleterie per la collettività che derivano da tale condotta.
Con riferimento al primo profilo, le condotte di riciclaggio (o meglio la loro “praticabilità”) sono facilitate da alcune caratteristiche del moderno sistema economico. Innanzitutto, vanno sottolineati l’avvento della globalizzazione con la scomparsa dei limiti alla circolazione dei capitali e la cosiddetta finanziarizzazione dell’economia, conseguente all’andamento del ciclo economico che ha visto esaurirsi le potenzialità di alcuni pilastri dell’economia di scambio e manifatturiera. Entrambi i fenomeni – unitamente all’impulso indotto dall’innovazione tecnologica – hanno finito per aumentare le possibilità di operare in tempi brevissimi trasferimenti di capitali di qualunque importo, facilitando evidentemente così forme di investimento che possono interessare anche disponibilità ottenute a mezzo di condotte criminali; le condotte di riciclaggio, dunque, hanno potuto assumere una dimensione transazionale sia sotto il profilo del delitto a monte (o presupposto) sia sotto il vero e proprio processo di «ripulitura» del denaro di provenienza illecita, posto che la dislocazione in diversi Paesi delle varie fasi in cui si articola il processo di recycling, facendo sponda anche nei cosiddetti paradisi offshore, costituisce una garanzia del buon esito dell’operazione e della scarsa visibilità della stessa per la difficoltà di ricostruire la traccia del denaro così segmentata.
In secondo luogo, il nuovo assetto economico si caratterizza – o quanto meno si è caratterizzato in una prima fase – per una significativa deregolamentazione della materia nell’intento di garantire maggiore libertà di manovra agli operatori con conseguente progressiva erosione del potere di controllo degli Stati nazionali sull’economia. Ne è derivato che oggi il riciclaggio non è più un fenomeno chiuso nello stretto ambito bancario, ma oltre alle banche e agli intermediari finanziari, ma finisce per investire molteplici attività alle quali si è estesa la normativa antiriciclaggio, tant’è che di recente sono state qualificate come «sensibili» anche le professioni liberali.
Con riferimento alle conseguenze che, invece, derivano dalle attività di riciclaggio, da un lato si rileva il loro impatto sul mondo dell’economia. Il reimpiego delle disponibilità di provenienza delittuosa determina che le variazioni della domanda di capitali non siano coerenti con le variazioni registrate nei fondamentali; la volatilità dei tassi di cambio e dei tassi di interesse, a causa di trasferimenti di fondi transfrontalieri, non possa essere prevista; si abbia una crescita della instabilità dei passivi e dei rischi per la qualità degli attivi delle istituzioni finanziarie (che creano, in generale, rischi di sistema per la stabilità del settore finanziario e per gli sviluppi monetari); si realizzino effetti negativi sul gettito fiscale e sulla ripartizione della spesa pubblica a causa di un’errata valutazione del reddito e della ricchezza; si realizzi la possibilità di una contaminazione delle operazioni legali dovute alla preoccupazione degli operatori di un loro possibile coinvolgimento in ambienti criminali; si verifichino effetti distributivi specifici su altri Paesi e, cioè, l’effetto «bolla» dei prezzi degli attivi dovuti alla disponibilità di denaro di provenienza illecita.
In breve, è innegabile che il riciclaggio determini un devastante inquinamento dell’operatività dell’economia “lecita”, andando ad incidere su quelli che sono le caratteristiche essenziali del suo funzionamento, in primis determinando la presenza di una eccesiva liquidità e l’alterazione del meccanismo di formazione dei prezzi – a sua volta strumento essenziale per la circolazione di informazioni in ordine al valore dei beni ed alla consistenza della loro domanda ed offerta.
Tuttavia, le conseguenze deleterie dell’attività di riciclaggio non si limitano ad una nefasta influenza sul funzionamento dell’economia di mercato. E’ pacifico, infatti, che l’attività di money laudering ha una portata criminogena significativa giacché il reinvestimento dei proventi illeciti non rappresenta solo la modalità con cui i criminali cercano remunerazione per la propria precedente condotta delittuosa ma costituisce a sua volta ulteriore fonte di ricavi da utilizzare per l’intrapresa di nuove attività criminali: si pensi ad esempio a come il reimpiego in attività imprenditoriali di proventi derivanti dal delitto di spaccio di stupefacenti possa far conseguire alla associazione criminale ulteriori ricavi da utilizzare per l’acquisto di nuova sostanza psicotropa da mettere nuovamente in vendita, dandosi così luogo ad un inarrestabile circolo economico interamente basato su presupposti illeciti.
Infine, soprattutto a partire dal settembre 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, si è acquisita piena consapevolezza di come il riciclaggio – attività di regola riferita ad associazioni criminali dedite esclusivamente al perseguimento di profitti ed all’arricchimento personale dei componenti – sia componente essenziale del radicalismo terrorista e delle relative organizzazioni (che in alcuni casi danno vita ad entità nazionali o statali o si incardinano all’interno delle stesse). L’operatività di quest’ultime, infatti, sia con riferimento all’organizzazione di attentati in altre zone del mondo sia nella gestione delle proprie entità territoriali sia infine per supportare conflitti ad alta o bassa intensità con i propri rivali, necessita di un flusso continuo di denaro e disponibilità patrimoniali, il quale viene ad essere alimentato prima ancora che da attività criminali come la cessione di stupefacente, dai proventi derivanti dall’investimento – nella stessa economia del mondo occidentale che si ripropongono di combattere e distruggere – di quanto si ricava dalla precedente condotta criminale.
Come accennato, il legislatore ha riservato una significativa attenzione al fenomeno del riciclaggio. In particolare, in sede penale si fa ricorso a due tipologie di strumenti: da un lato, nel codice penale sono presenti tre reati – il delitto di riciclaggio di cui all’art. 648-bis, il delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita di cui all’art. 648-ter ed il delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648-ter.1 – onde sanzionare le condotte che sono immediatamente dirette a “ripulire” o reinvestire i proventi illeciti; in secondo luogo, un articolato sistema di prevenzione del riciclaggio è stato adottato con il D.Lgs. n. 231/2007, il quale non punisce condotte di riciclaggio propriamente dette bensì comportamenti che possano agevolare tale attività di ripulitura e per tale ragione si dirige nei confronti di soggetti – come avvocati, commercialisti, notaio, agenti di borsa ecc. – che svolgono attività professionali che possono agevolare – o che sono addirittura indispensabili – i comportamenti descritti dagli articoli del codice penale. E’ previsto inoltre un ulteriore reato, originariamente disciplinato dall’art. 12-quinquies, D.L. n. 306/1992 ed ora anch’esso presente nel codice penale, all’art. 512 bis, in tema di trasferimento fraudolento di valori che punisce chi attribuisca fittiziamente a terzi soggetti porzioni del proprio patrimonio e può essere considerato l’antecedente storico più immediato del recente delitto introdotto con l’art. 648-ter.1 c.p..
Quanto ai reati di riciclaggio, il primo delitto ad essere stato introdotto è proprio quello di riciclaggio, di cui all’art. 648-bis c.p. – la cui attuale versione è la risultanza di molteplici modifiche e riforme – e che punisce chiunque – senza aver partecipato alla commissione del reato da cui proviene il profitto “riciclato” – sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Poco dopo l’introduzione della fattispecie di riciclaggio il sistema repressivo delle condotte di ripulitura e reimpiego delle somme e dei beni provenienti da delitto è stato ulteriormente arricchito con l’introduzione del delitto di cui all’art. 648-ter c.p. – anche esso più volte modificato nel corso degli anni -, che disciplina il reato di “impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita”, punendo chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto: si tratta di una norma che è stata introdotta dal legislatore con il fine di sanzionare la terza fase di dispiegamento della condotta tipica del riciclaggio, quale è l’integration stage: si tratta dell’ultimo anello del fenomeno di riciclaggio, che comporta i maggiori pericoli per la stabilità del mercato, ed infatti si ritiene che questa fattispecie delittuosa tuteli l’ordine economico dal momento che l’investimento di ingenti risorse di capitali da parte delle imprese criminali costituisce turbativa del mercato.
Dal 2014, infine, è divenuto centrale nel sistema di prevenzione il delitto di autoriciclaggio previsto dall’art. 648 ter.1 c.p., in base al quale si sanziona chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa, sempre che il denaro, i beni o le altre utilità non vengano destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. Affine al reato di autoriciclaggio è poi il delitto di trasferimento fraudolento di valori, di cui all’art. 12-quinquies, comma 1, d.l. n. 306 del 1992, convertito con modifiche con la legge n. 356 del 1992 ed oggi inserito nel codice penale all’art. 512 bis c.p. ed in base al quale, alvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale, è punito con la reclusione da due a sei anni; si tratta evidentemente di un illecito, introdotto nell’ambito di misure dirette a contrastare le attività di riciclaggio di denaro e valori ad opera della criminalità organizzata – che presenta evidenti analogie con l’attuale delitto di autoriciclaggio nella misura in cui la condotta ivi descritta è diretta a mascherare l’origine delittuosa di denaro, beni o altre utilità ed al contempo non è contemplata la clausola di esclusione di responsabilità a beneficio dell’autore del delitto da cui tali utilità provengono, sicché il reato in commento può essere commesso anche dall’autore dell’illecito presupposto.
Come accennato, nei confronti delle attività di riciclaggio il legislatore italiano – conformemente, peraltro, a quanto si riscontra anche in altri ordinamenti stranieri – ha inteso reagire con due modalità, affiancando alla repressione e sanzione di tali condotte – operata per il tramite delle fattispecie incriminatrici sopra indicate – un sistema di prevenzione del riciclaggio, disciplinato dal D.Lgs. n. 231/2007, modificato poi nel corso degli anni, in cui si sanzionano, tanto a livello penale che amministrativo, comportamenti tenuti da soggetti come avvocati, commercialisti, notaio, agenti di borsa ecc. che svolgono attività professionali che possono agevolare l’attività di money laudering.
In sostanza, con l’intervento normativo del 2007 si è inteso prevenire e contrastare il possibile utilizzo del sistema economico e finanziario a scopo di riciclaggio (e finanziamento del terrorismo) attraverso l’adozione di misure di mitigazione e gestione del rischio in relazione al tipo di cliente, al rapporto continuativo, alla prestazione professionale, al prodotto o alla transazione, tenendo conto della peculiarità dell’attività, delle dimensioni e della complessità proprie dei soggetti obbligati che adempiono agli obblighi previsti a loro carico dal suddetto decreto e considerando i dati e le informazioni acquisiti o posseduti nell’esercizio della propria attività istituzionale o professionale (cfr. art. 2 del DLgs. 231/2007).
Si ricorda, infine, come tutte le fattispecie di riciclaggio presenti nel codice penale rappresentano, ai sensi dell’art. 25-octies d.lg. n. 231 del 2001, potenziali reati presupposto per la responsabilità da illecito delle persone giuridiche. La scelta del legislatore si spiega in ragione della ormai appurata certezza della ‘partecipazione criminosa’ dell’ente agli illeciti di riferimento, anche considerato il sopravanzare sulle illegalità individuali di una diffusa e diffusiva illegalità dell’impresa, con contenuti motivazionali trascendenti gli scopi dei singoli individui e direttamente pertinenti il soggetto economico “impresa” e le sue autonome scelte di politica aziendale/imprenditoriale/finanziaria.
E’ in effetti indiscutibile che alcune tipologie di illeciti, denominati genericamente come “reati di impresa”, pur se realizzati sotto il profilo dell’assunzione della condotta penalmente rilevante da una persona fisica, sono comunque intesi ad arrecare un vantaggio ad enti collettivi, all’interno dei quali il singolo responsabile dell’illecito si trova ad agire; di conseguenza, considerato che la commissione di un reato d’impresa non appare solitamente frutto di una scelta autonoma ed individuale del soggetto-persona fisica, ma risulta essere strumentale al raggiungimento di un obiettivo criminoso della societas, un’efficace politica criminale impone che accanto al reo venga in qualche modo sanzionato anche l’ente a vantaggio o nell’interesse del quale egli delinque o delle cui strutture egli si avvale nel suo comportamento criminale.
Accanto a queste valutazioni che – come detto – sono presenti ogni qualvolta la fattispecie di reato realizzata dal singolo sia in qualche modo diretta ad avvantaggiare l’ente collettivo cui lo stesso appartiene, a spingere nel senso dell’inserimento dei delitti di riciclaggio fra i reati-presupposto della responsabilità degli enti collettivi ex d.lg. n. 231 del 2001 è stata anche la considerazione che in tal modo meglio si sarebbe potuto garantire il raggiungimento degli obiettivi perseguiti con l’introduzione nel nostro ordinamento di questa innovativa figura delittuosa. Se infatti, come abbiamo detto più volte, le ragioni politico-criminali che hanno spinto per l’inserimento di tali delitto nel sistema penale sono quelle di “congelare” il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato-presupposto, in modo da impedirne la successiva reimmissione (da parte sua o di terzi) nel circuito economico legale, è palese che tali risultati vengono meglio perseguiti coinvolgendo nella responsabilità per i fatti di laudering anche le persone giuridiche a mezzo delle quali o a vantaggio delle quali le condotte descritte negli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p. – sono state assunte. Il riconoscimento di una ipotesi di responsabilità (para)penale in capo a tali enti collettivi, infatti, da un lato consente di sanzionare in maniera significativa anche le persone giuridiche che spesso fungono da principali protagonisti della vicenda di riciclaggio e dall’altro consente di adottare nei confronti di tali soggetti provvedimenti sanzionatori – per tutti il sequestro preventivo e la successiva confisca per equivalente nei confronti della società – aventi ad oggetto la ablazione del profitto conseguente alle condotte di ripulitura del provento criminale.
Ciro Santoriello