
Intervento di Giulia Putzu, psicologa del lavoro – I valori della donna e le difficoltà che ne ostacolano la professione.
L’era in cui viviamo può essere definita per eccellenza l’era del progresso e del cambiamento, ma ci sono progressi più lenti di altri.
Tra gli echi che continuano a risuonare ritroviamo il gender gap, la cui tematica ha avuto senza dubbio risvolti positivi, ma nonostante i traguardi raggiunti non si può negare che la disparità di genere rimanga un brusio inascoltato che continua a vedere penalizzate le donne, soprattutto per quanto concerne il mondo del lavoro.
Ma il primo passo per far avanzare il percorso di emancipazione, avviato ormai da più di un secolo, è prendere consapevolezza della situazione che ci circonda, e andare a ripercorrere i fattori che tuttora agevolano o ostacolano l’inserimento della donna nel contesto lavorativo e sociale.
Grazie al ruolo svolto dalle donne in questi secoli, pensiamo alle suffragette e alle donne partigiane, ma anche a tutte le altre che, individualmente, hanno segnato delle tappe fondamentali nell’affermazione della donna nella società, fino ad arrivare alle più recenti associazioni femministe, è possibile affermare come l’integrazione della donna nella vita socio-politico-economica non sia più
un tabù, né tantomeno un qualcosa di cui si possa fare a meno per far sì che la società in cui viviamo sia sana e funzionale.
Il cammino per la parità ha affrontato innumerevoli ostacoli e resistenze, dovute alla necessità di riorganizzare risorse cognitive per accettare e comprendere il cambiamento e per modificare una cultura dominante che deve oggi fare i conti con l’inclusione della diversità e il raggiungimento di un livello di parità con il potere dominante, al fine di modificare stereotipi e assunti che sono il retaggio di una società patriarcale.
Questo cammino già arduo ha inoltre dovuto affrontare una battuta d’arresto a causa di un ostacolo imprevedibile, la crisi pandemica. A tal proposito, emergono dati allarmanti a seguito di varie indagini.
Nel mese di dicembre 2020, su 101mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne (dati Istat 2021). Questi dati non stupiscono se si pensa che già prima del Covid le lavoratrici neo-genitrici avevano maggiori difficoltà nel raggiungere il cosiddetto work-life balance, e che a causa di ciò, oltre 37.000 si sono dimesse. Il fatto che solo il 21% delle richieste di part time o flessibilità lavorativa, presentate
da lavoratrici con figli piccoli, sia stato accolto, ha giocato un suo ruolo.
Oltre alla differenza salariale a parità di condizioni, ci sono altri elementi che ampliano ulteriormente il divario fra lavoratrici e lavoratori. Ad esempio, mediamente le donne fanno più ore di lavoro non retribuito rispetto agli uomini e, per prendersi cura della famiglia, si assentano di più dal lavoro.
Questi aspetti incidono in modo importante sulla possibilità di fare carriera e di accedere alla produttività, e sollevano diverse questioni sulla distribuzione del carico di lavoro (retribuito e non) tra i sessi, e dell’accesso a posizioni lavorative apicali, rafforzando sempre più il cosiddetto “soffitto di cristallo”.
Del resto, è evidente che ci siano forti condizionamenti di carattere sociale, culturale e psicologico dietro l’esistenza di questa barriera. È emerso infatti come la politica aziendale tende ancora oggi a preferire gli uomini in certi ruoli occupazionali, come testimonia l’esiguo 3% di donne che in Italia ricoprono il ruolo di CEO nel 2021, secondo quanto riportato dalle ultime analisi di European Women On Board.
La scarsa presenza femminile nei ruoli occupazionali che “contano” è strettamente connessa al retaggio patriarcale, tuttora esistente.
Ma la crisi pandemica ha impattato, oltre che sul mondo del lavoro, anche su quello dell’istruzione femminile. In Italia, stando a quanto si legge dal progetto #ValoreD4STEM di Valore D, le donne laureate che hanno scelto percorsi di studio legati a discipline scientifiche, tecnologiche e matematiche sono solo il 18,9%, ma in ogni caso, ottengono risultati scolastici migliori rispetto ai propri colleghi uomini.
Nonostante ciò, in questo settore professionale il gender gap è elevato. Questo, insieme ad altri elementi, contribuisce a demotivare le donne dall’intraprendere percorsi accademici legati a questi insegnamenti. Ma la domanda di competenze STEM è in forte crescita per i prossimi dieci anni e ci si aspetta che possedere nozioni relative a queste materie offra maggiori possibilità di carriera e guadagno.
In tutti i secoli, e in ogni parte del pianeta, le donne hanno dovuto lottare, e ancora oggi lottano, per ottenere il diritto all’istruzione. Basta ricordare la vicenda di Malala – vincitrice del premio Nobel per la Pace nel 2014 – e la sua coraggiosa lotta per assicurare alle bambine il diritto allo studio in tutti quei territori dove il fondamentalismo ed il terrorismo islamico vieta al genere femminile l’accesso all’istruzione.
Secondo l’ultimo report dal titolo “If not now, when?” prodotto da Accenture, in collaborazione con Quilt.AI e Women20 (W20), la crisi pandemica ha allungato gli anni previsti per raggiungere l’equità di genere sui posti di lavoro. Le previsioni sono slittate dal 2120 al 2171.
Pertanto, mancano ancora 150 anni per il raggiungimento della gender equality professionale, che neppure le figlie delle giovani donne di oggi potranno vedere.
Ma se tanti sono ancora i passi da fare, altrettanti passi sono già stati fatti e si stanno tuttora facendo. A tal proposito va ricordata la legge 162/2021, che ha abbassato da 100 a 50 la soglia minima di dipendenti sopra la quale è obbligatoria la redazione del Rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile, «in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta».
Inoltre, la stessa legge ha introdotto la certificazione sulla parità di genere. Questa certificazione attesta le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità.
Pertanto, il mezzo più potente che abbiamo per proseguire questo cammino è il raggiungimento della piena consapevolezza, in particolare delle giovani generazioni che possono perciò giocare un ruolo prevalente, di quel che ancora c’è da fare per ottenere cambiamenti politici e sociali nell’ottica della parità di genere, accompagnata dall’utilizzo di strumenti come la divulgazione e sensibilizzazione continua a tutti i livelli sul tema.
Giulia Putzu