“Lo Russo, Sindaco di Torino”. No. Non è, come una parte dell’elettorato avrebbe pensato, il titolo dell’ennesimo banale film natalizio. E’ un film nuovo, che proietta – è questa la nostra speranza – una città storica nel futuro. Con intuizione, sapienza, pragmatismo. Tre aggettivi che devono esprimere forza, rigore, voglia vera di ricominciare. Troppe cose sono accadute in questi ultimi vent’anni. Il terzo millennio si è aperto alla speranza nuova. Sembrava che tutto andasse a gonfie vele. Poi? ogni idea si è afflosciata, si è dissolta come neve al sole. Ed ora? si deve voltare pagina.
“Il Sindaco” di Torino, ha il diritto-dovere morale di ricostruire la città, di farla vivere agli onori del mondo, di “imporla” in Europa, di lanciare nuove idee, di realizzarle, soprattutto. Deve essere il “Padre laico” di questa magnifica città, che negli anni, per tantissime ragioni, molte delle quali evitabili, è stata defraudata della sua nobiltà storica e moderna.
Non discettiamo di cose astratte, frutto di fantasia, ma di cose concrete: dalla pulizia della città, che deve innanzitutto albergare nell’animo di ogni cittadino di qualunque etnia, alla complessa, basilare vita della pubblica amministrazione che deve funzionare senza alcuna esitazione, come gli automatismi di un orologio; alla salvaguardia della vita dei cittadini, “tout court”, alla viabilità ormai impossibile, all’intraprendenza economica di idee, di modelli di vita culturali ideali, senza schemi accademici o ideologici; modelli di vita, che devono essere discussi con i cittadini e trasmessi ai vertici della società italiana e internazionale coordinando incontri, seminari, congressi. Il sindaco non deve rappresentare il “buon padre di famiglia” inteso nel senso più riduttivo dell’espressione, ma deve essere iI Padre di Torino: un padre che dialoghi apertamente con le persone, con la comunità, che si confronta con i padri delle altre città, i padri delle Regioni, dell’Italia, i padri delle altre nazioni: un padre burbero ma deciso e forte che sia esempio di onestà intellettuale, di capacità governative.
Utopia? No. Idee e organizzazione. Voglia di crescere con gli altri, senza frapporre barriere più o meno…architettate, che distruggono ogni senso civico. Torino, come Milano. (MiTo suona meglio di ToMi?) Forse. Ma deve avere la stessa valenza economico culturale. Non si possono tollerare “strappi”, scippi vissuti nell’inerzia.
Torino migliore o peggiore di Roma, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo, Venezia, Vicenza, Padova, Cagliari? No. Deve essere una città vivibile, che deve respirare l’aria delle Alpi, pensare alle nuove soglie dell’energia alternativa per risanare il proprio plasma dall’inquinamento; per ridare fiato all’economia ormai intubata.
Torino ha perduto vitalità, idee, voglia di agire in campo internazionale. Perde anche gli immigrati, coloro che si erano integrati (che brutta espressione!) a Torino e che ora fuggono verso la Francia, la Germania, il Belgio, l’Olanda, Stati Uniti, convinti di trovare nuove patrie ma avendo ancora nel cuore l’Africa, distrutta, vilipesa dal colonialismo guerrafondaio e dal “più moderno” colonialismo economico globale, che sta distruggendo il pianeta.
Torino deve ritrovare la propria storia urbanistica, un tempo considerata, “visione internazionalista” di straordinari architetti che sono andati a insegnare e lavorare in giro per il mondo, ora deve ritrovare la propria educazione; il proprio sapere, la coscienza di sé; la cortesia d’un tempo, per accogliere chi non ha un tozzo di pane e non trova la giusta, cristiana accoglienza. Torino deve ritrovare un po’ della fede sociale di Don Ciotti. Deve ispirarsi al Cottolengo, al Sermig, alla Comunità di Sant’Egidio, alle istituzioni caritatevoli, in un’ottica moderna, educativa, che soltanto il “Padre di Torino” ha l’obbligo morale di accreditare.
Tutto questo gran da fare è sufficiente a riportare Torino in Europa? Assolutamente no. La piattaforma programmatica dev’essere di dimensione nazionale e internazionale. Ci sono problemi universali, come le preoccupanti metamorfosi climatiche, per esempio. Si guardi alla Precop26 – Youth4Climate, l’appuntamento milanese per giovani climattivisti di tutto il mondo. A Milano c’erano capi di stato, di governo, ministri, scienziati di mezzo mondo, sollecitati dalle tre formidabili ragazze Greta Thunberg, Vanessa Nakate e dall’italiana Martina Comporelli. Tutti pronti a discutere, predisporre nuovi incontri, a valutare il progredire degli studi, e le nuove prospettive.
Milano ha accolto la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Qual è stato l’apporto di idee e l’appoggio organizzativo di Torino? Sarebbe interessante saperlo. Si pensi alla Conferenza delle parti sul clima (COP26) che si terrà a novembre a Glasgow. Sarebbe interessante sapere quale ruolo propositivo avrà Torino con l’Università, il Politecnico, i poli di ricerca scientifica. Non devono esistere “città anonime”. Non ci possono essere. Torino deve darsi simboli e voce possenti per farsi ascoltare al di là delle Alpi. Per gridare quella voglia di riscatto che si tiene dentro da anni e che nessuno, per nessuna ragione, deve zittire.
Armando Caruso