CULTURA

IL PD NON PUO’ NE’ DEVE ESSERE UNA “OLIGARCHIA DI NOTABILI”

By 23/11/2022No Comments

Il deputato democratico, senza alcuna reticenza continua nella sua critica costruttiva: “Territorio e partito, binomio inscindibile. Perché ci siamo incartati con inutili ed estenuanti discussioni su alleanze da costruire a tavolino, fregandocene dei territori?”

Territorio e partito, questo è il binomio intorno cui (ri)costruire il futuro del Partito Democratico e, per me, l’unica risposta alla domanda di apertura di una stagione costituente, invocata da più parti, fuori e dentro il partito.
Il termine “territorio” incorpora da sempre il legame che esiste tra spazio e politica, eppure, questa stretta relazione, che fino a pochi anni fa sembrava inscindibile, mostra ogni giorno di più segnali di cedimento. Il cortocircuito di relazione è un processo che interessa tutti i corpi intermedi, quindi tutti i partiti – sia chiaro – ma è un processo che rischia di compromettere in maniera più drammatica soprattutto le sorti del Partito Democratico, il quale storicamente ha fatto del radicamento sui territori uno dei suoi punti di forza.
Non solo, il Pd è un partito che si è sempre contraddistinto per la sua capacità di selezionare, sostenere e far crescere – nei territori appunto – una classe dirigente impegnata e preparata, capace di dimostrare sul campo le sue qualità di competenza e lungimiranza amministrativa. E allora, chiediamoci, perché abbiamo messo in soffitta questo patrimonio di relazioni? Perché abbiamo archiviato così frettolosamente gli sforzi prodotti dai nostri dirigenti locali? Perché ci siamo incartati con inutili ed estenuanti discussioni su alleanze da costruire a tavolino, fregandocene dei territori? Ecco, questi sono i nodi principali che il Congresso dovrà mettere al centro, fino a che non saranno sciolti.
È urgente farlo, prima che il rammarico si tramuti in rimpianto.
Abbiamo preso una legnata storica alle ultime Politiche e siamo ancora qui a tergiversare, ad aggrapparci a cavilli di Statuto, a imbrigliare il futuro in tatticismi esasperati. Ma se andiamo avanti così, altro che discutere di statuti, tesserati e congressi…non ci sarà più un partito di cui discutere: questa è l’amara verità.
Oggi gli iscritti sono ostaggio di un partito terrorizzato dai cambiamenti, che preferisce premiare chi sceglie di non disturbare il manovratore in attesa dell’immancabile investitura. Per questa ragione il Pd viene percepito come oligarchia di notabili, nomi incapaci di farsi da parte per permettere un ricambio, anche generazionale, vero. Inamovibili eppure ostinati nel dichiarare: “dobbiamo tornare a parlare con la gente, a occuparci delle disuguaglianze sociali, a parlare di lavoro, di giusta retribuzione, di diritto alle cure”. E nessuno viene sfiorato dal pensiero che con questo esercizio di retorica, di pentimento, la realtà che si svela è terribile: dobbiamo tornare a occuparci di questi temi perché, molto semplicemente, a un certo punto abbiamo smesso di occuparcene o lo abbiamo fatto male.
Perciò in questo quadro desolante, un passaggio di testimone è diventato merce rara e alla fine, la reiterata mancanza di coraggio, diventata fatalmente mancanza di prospettiva, ha finito per infrangere il patto generazionale alla base di ogni sano avvicendamento.
Oggi abbiamo un partito “annoiato”, fatto in larga parte di amministratori. L’assenza di analisi e di elaborazione ha paralizzato ogni tipo di confronto, soprattutto quello tra generazioni, svilendo inevitabilmente le opportunità di guardare al futuro. Storie di novelli Benjamin Button, che politicamente nascono Matusalemme e regrediscono all’infanzia invece di maturare: una decrescita infelice che rischia di travolgerci tutti. Di condannare il partito alle sabbie mobili: un destino che è plausibile ma non ineluttabile. E che dipende solamente da noi.

Mauro Laus