CULTURA

IN CRISI IL LAVORO NEL MONDO OCCIDENTALE IL DRAMMA UNTRADECENNALE TUTTO ITALIANO

By 26/07/2022Settembre 22nd, 2022No Comments

La lucida analisi del Presidente della Camera di Commercio di Torino, Dario Gallina – Il fenomeno coinvolge Europa e Stati Uniti -In tutti i settori mancano migliaia di lavoratori

La crisi economica generata dalla pandemia e poi aggravata della guerra ha messo in evidenza e ha accelerato di molto il cambiamento del significato del lavoro nella nostra società. Il combinato di tutti questi effetti ha portato ad una situazione ancora più paradossale. Il lavoro, che ha costituito un valore importante nella cultura del precedente secolo, ora è in crisi. La stessa nostra Repubblica è stata costituita sul lavoro, lo dice l’articolo 1 della Costituzione: nel boom degli Anni ‘50
e ‘60 e nei decenni successivi, anche se con grandi crisi e conflitti, il lavoro è stato sempre un obiettivo, un punto di realizzazione di chi si accingeva a costruire la propria vita. Il lavoro di padre in figlio, il lavoro come ascensore sociale, il lavoro come obiettivo gratificante e motivante. La situazione attuale pare contraddire questi pensieri e il pensiero collettivo sta cambiando: ci ritroviamo in un mondo in cui abbiamo una grande difficoltà a “chiudere il cerchio” tra lavoro-reddito-vita sociale.
I dati sono implacabili: in tutti i settori mancano decine di migliaia di lavoratori, non solo tra le figure più competenti, ma anche nelle mansioni più semplici che non richiedono una formazione elevata. Sono esempi quelli dei camerieri, degli autisti, figure introvabili che dopo la pandemia si sono affiancate ai già rarissimi ingegneri, tecnici e così via. Vengono addirittura a mancare i medici, dopo che per anni si è detto che le Università di medicina andavano ridimensionate perché c’erano troppi studenti.
Il fenomeno non è solo italiano, ma riguarda tutto il mondo occidentale. La mia esperienza imprenditoriale me lo conferma e mi dice che il fenomeno vale per il nord Europa, ma anche per gli Stati Uniti, dove trovare addetti alla produzione è un’impresa quasi impossibile. Ma negli Stati Uniti l’economia è giunta alla disoccupazione frizionale, quella che i testi di economia dicono sia intorno al 3%, la cosiddetta piena occupazione. In Italia invece siamo in una condizione un po’ diversa, con una disoccupazione ancora molto elevata che batte ancora a livello nazionale intorno al 9,7%, con picchi al sud del 20%. Ma è soprattutto la disoccupazione nelle fasce 15-24 anni che registra tassi elevatissimi e anche in Piemonte è ancora al 23,4% (in Italia 29,7%). (fonte Istat)
Da una parte imprese che hanno bisogno di assumere migliaia di persone e dall’altra migliaia di giovani che non lavorano, moltissime donne non occupate e purtroppo molti che addirittura non cercano il lavoro. I cosiddetti “neet” che né cercano lavoro, né studiano sono in Italia circa 3 milioni (fascia 15-34 anni) e in Piemonte 162 mila (quasi il 20% della fascia d’età). (fonte Istat)

Ma forse non stiamo assistendo ad un fenomeno di “semplice mismatch” tra domanda ed offerta, ma anche ad un cambiamento di “approccio al lavoro”. Alcune chiavi di lettura, che condivido, dicono che su questi cambiamenti culturali stiano incidendo fortemente non solo trasformazioni sociali dovute ai due anni di COVID, ma anche elementi di politica economica che guidano il pensiero della gente.
Mi riferisco, ad esempio, a come il reddito di cittadinanza in Italia sia stato avviato.
Assistiamo al fatto che 2,8 milioni di persone (Fonte dati Excelsior – Report Previsivo 2022 – 2026) che potrebbero trovare lavoro, perché il lavoro c’è, percepiscano un reddito senza lavorare, molti affiancandolo ad un lavoro non regolare, molti accontentandosi perché per loro questo è sufficiente e permette maggiore libertà, weekend liberi, tempo con la famiglia e così via. Il giusto strumento di supporto contro la povertà è stato trasformato in un sussidio generalizzato preda anche dei soliti furbetti, ma anche di italiani che fanno scelte di vita diverse. Gli obiettivi di generare parallelamente occupazione con politiche attive tramite i centri per l’impiego ed i “navigator” sono falliti rendendo inefficace la parte nobile del progetto. Il Torinese è tra le prime province del nord Italia per numero di percettori del reddito di cittadinanza con 54 percettori ogni 1.000 abitanti, contro una media nazionale di 67. (fonte INPS)
Un altro elemento da considerare nel cambio culturale nei confronti del lavoro è la crisi pandemica, che ha generato un grande effetto di rotazione in alcuni settori maggiormente colpiti dalle restrizioni, come per esempio la ristorazione. Questi settori si sono visti costretti a ridurre gli occupati per poi dover ripartire con grandi difficoltà perché molti addetti hanno trovato lavoro in altri ambiti dove forse il lavoro è più congeniale a quello precedente. Forse è per questo che nel 2020 le entrate per sostituzione di personale hanno raggiunto in Piemonte la percentuale record del 38% (Fonte dati Excelsior) mai registrata in passato. È come se fosse in corso un rimescolamento epocale dei posti di lavoro con conseguenze fortissime su alcuni settori che per forza di cose non possono prevedere lo smart working da casa o eliminare il lavoro nei giorni festivi.
Ma se questi possono essere fenomeni momentanei, quello che forse deve preoccupare di più è che nel pensiero di chi è cresciuto con una cultura del lavoro mai messa in discussione qualche cosa stia cambiando. Questo si innesta pericolosamente in una economia che non cresce, con un reddito disponibile delle famiglie che si riduce, povertà che cresce, calo demografico e immigrazione che preme.
Come si può pensare di poter uscire da questo piano inclinato in cui si trova la nostra società? Penso che la politica abbia il compito di intervenire urgentemente eliminando provvedimenti devianti come il reddito di cittadinanza e prevedendo dei giusti strumenti di lotta alla povertà che sono, come già detto, un’altra cosa.
L’immigrazione, che vede a Torino ma anche nel resto d’Italia, una forte presenza di immigrati da molte comunità sia dell’Europa dell’Est che dal Nord Africa deve diventare opportunità di crescita economica e di risposta vera al tema del lavoro, superando la passività e prendendo atto della realtà che ormai da molti anni vede le nostre grandi città popolate di comunità straniere che possono essere un grande bacino di posizioni lavorative e di crescita economica, anche grazie all’aumento delle iniziative imprenditoriali. I dati della Camera di commercio di Torino dicono che nel 2021 le imprese straniere nel torinese sono cresciute del 6,3% contro una crescita generale del 1,64%.
Gli occupati stranieri sono cresciuti nel nord ovest del 4,1 % contro lo 0,4 % di quelli di nazionalità italiana (Istat – Piemonte, Lombardia , Liguria e Valle d’Aosta 2021-2020). Sono segnali di un percorso che può essere accelerato dando risposte ad un mercato del lavoro che vive una “siccità” unica.
L’immigrazione non è mai stata vista come una opportunità, ma come un fenomeno che si subisce, che si deve gestire senza un vero modo di poterlo trasformare in vantaggio. Politiche attive forti e concrete per formare e avviare al lavoro gli immigrati presenti sul territorio non sono mai state fatte. Il PNRR che poteva essere un grande strumento sia per i giovani italiani che per gli stranieri per raggiungere questi obiettivi ha orientato la sua forza su altro. Dal PNRR ci si aspettano 90 mila posti di lavoro, ma come faremo a ricoprirli se già ora non siamo in grado di rispondere alla domanda di occupazione?
A tutto questo si aggiunge il fatto che i giovani italiani, figli della classe media, ma non solo, quando possono studiano in Italia, ma molti preferiscono studiare all’estero e ancora di più tendono ad accettare lavori all’estero. Si muovono ormai in Europa come un tempo ci si muoveva forse tra Milano e Torino. Le connessioni a basso costo le linee ad alta velocità hanno trasformato il percorrere l’Italia da nord a sud e verso l’Europa. Dal sud si cercano opportunità al nord Italia, dall’Italia del nord si colgono offerte di lavoro, più attrattive, nelle capitali europee e perché no nelle nuove economie come il Medio Oriente.
Torino fra 10 anni si troverà al centro dall’Europa con connessioni veloci per merci e persone. Non vorrei che però ci presentassimo all’appuntamento con una città ancora più piccola e ridimensionata, dove la forza delle nostre competenze e della nostra tradizione sia stata definitivamente sconfitta dagli effetti depressivi di questi anni. Dare una risposta alle imprese oggi con giovani formati e motivati e giovani ex immigrati ora integrati e che sono parte della nostra società credo sia una delle leve su cui agire per arrivare preparati all’appuntamento con l’Europa.

Dario Gallina

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