SCIENZATECNOLOGIA

In sala operatoria per salvare il cuore dei nostri bambini

By 23/03/2022Marzo 28th, 2022No Comments

Il dottore Carlo Pace Napoleone, direttore SC di Cardiologia pediatrica del Regina Margherita artefice, con la sua équipe, di “miracolosi” interventi – I trapianti – La toccante umanità

Anche se a volte la totale mancanza di senso di alcune decisioni prese da uomini completamente privi di scrupoli ci riporta alla imprevedibilità della natura umana, è innegabile che negli ultimi anni abbiamo assistito ad una evoluzione tecnologica velocissima in tutti i campi, compreso quello della medicina. La diagnostica sempre più avanzata, le terapie mediche sempre più mirate, gli strumenti sempre più precisi, ed anche la possibilità di condividere le informazioni da parte dei medici, di approfondire la conoscenza delle innumerevoli malattie che si avvicendano nei letti degli ospedali, hanno fatto pensare che non esista più nulla che non si possa curare, nessuna malattia dalla quale non si possa guarire. Ovviamente non è così, rimaniamo pur sempre dei piccoli uomini che si impegnano contro il male, ma è indubbio che siamo sempre più efficaci.
Nella mia vita professionale mi sono sempre occupato della cura chirurgica delle cardiopatie congenite, quelle che colpiscono statisticamente 8 neonati ogni mille nati vivi.
Presso la Cardiochirurgia Pediatrica e delle Cardiopatie Congenite dell’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino, che dirigo dal 2013, ci occupiamo di operare circa 200 pazienti ogni anno, dai neonati agli adulti in collaborazione con la Cardiochirurgia Universitaria delle Molinette. Trattiamo tutti i tipi di cardiopatia congenita con metodiche all’avanguardia. Inoltre eseguiamo trapianti cardiaci pediatrici ed impianti di sistemi di assistenza. Questi possono essere di breve durata, come il cosiddetto ECMO (Extra-Corporeal Membrane Oxygenation) che consente di superare condizioni di scompenso cardiaco transitorio, o di lunga durata, come il VAD (Ventricular Assistance Device), il cosiddetto cuore artificiale che consente di poter attendere l’arrivo di un cuore “vero” da trapiantare. I nostri risultati sono molto buoni, in linea con quelli dei migliori centri internazionali, frutto del lavoro di una grande equipe, sia in senso numerico che professionale!
Le cardiopatie congenite sono un insieme di malattie che colpiscono il cuore modificandone l’anatomia tanto da alterarne l’efficacia funzionale in maniera molto variabile, a volte quasi impercettibilmente ma talvolta fino a rendere impossibile la sopravvivenza del bimbo.
L’evoluzione delle tecniche diagnostiche, soprattutto l’ecocardiografia, consente di scoprire una cardiopatia congenita molto precocemente durante la gravidanza, fin dalla quindicesima settimana di gestazione. Questo permette a noi professionisti di prepararci adeguatamente ad assistere il neonato subito dopo il parto, e permette anche alla famiglia di assorbire la notizia e diluire durante il corso della gravidanza il relativo shock che ne deriva.
Non tutte le cardiopatie congenite sono incompatibili con la vita, la maggior parte consente di crescere e di programmare la correzione con relativa calma. In effetti, l’evoluzione delle strategie chirurgiche sta consentendo di anticipare sempre di più i tempi della correzione, per ridurre sia l’impatto della cardiopatia sullo sviluppo del bambino sia le conseguenze psicologiche del trattamento, decisamente più accettabile nel piccolo paziente rispetto all’età in cui si riesce a comprendere meglio cosa ti accade intorno.
La sfida più grande rimane quella del neonato che nasce con una cardiopatia congenita incompatibile con la vita. La diagnosi prenatale consente di essere pronti ad accoglierlo con tutti i mezzi necessari a garantirne la sopravvivenza. Nella maggioranza dei casi si riesce a stabilizzare il piccolo paziente ripristinando una situazione emodinamica simile a quella fetale, mediante l’infusione endovenosa di un farmaco che blocca i fisiologici mutamenti conseguenti al parto, che altrimenti consentirebbero alla cardiopatia di manifestare la sua letalità. Le prostaglandine infuse mantengono pervio il dotto di Botallo, una comunicazione presente nella vita fetale tra il circolo polmonare e quello sistemico, riuscendo a garantire nella maggior parte dei casi la stabilizzazione clinica del paziente e la possibilità di rinviare di qualche giorno l’intervento correttivo.
In alcuni casi però questa metodica non è efficace e si deve comunque intervenire in emergenza. Recentemente presso il nostro centro, nel presidio Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino, abbiamo dovuto affrontare una situazione di questo tipo, relativamente ad un bimbo quale era stata diagnosticata durante la vita fetale una rara forma di tumore del pericardio, il “sacchetto” che avvolge il cuore nel torace. Questa neoplasia, il teratoma pericardico, ha la caratteristica di crescere così tanto nel torace del feto da occuparne la quasi totalità, schiacciando cuore e polmoni tanto da alterarne lo sviluppo. Il monitoraggio attento del feto con le frequenti ecocardiografie ha consentito di seguire l’evoluzione clinica e di preparare la strategia chirurgica con cura. La collaborazione con i ginecologi, gli ostetrici, i cardiologi pediatrici, gli anestesisti che avrebbero assistito la mamma quelli che si sarebbero dedicati al bambino insieme all’equipe dei cardiochirurghi pediatrici era indispensabile a garantire un buon risultato.
La preoccupazione nasceva dal fatto che i polmoni erano così schiacciati che non avrebbero consentito al neonato di respirare adeguatamente dopo la nascita. Bisognava rimuovere immediatamente il tumore per dare spazio ai polmoni e consentire una respirazione efficace. Il parto è stato quindi programmato nella sala operatoria adiacente quella della Cardiochirurgia Pediatrica presso il Blocco Operatorio del Regina Margherita. Appena estratto il bimbo, il cordone ombelicale è stato lasciato connesso alla placenta della mamma, mantenendone in questo modo la capacità di ossigenare il sangue come durante la vita fetale. Questo ha consentito ai cardioanestesisti di intubare il piccolo, che pesava meno di 2 chili, e di verificarne la capacità di espandere i polmoni tanto da consentirne la sopravvivenza per almeno alcuni minuti. A questo punto il cordone ombelicale è stato reciso ed il bimbo trasferito rapidamente nella sala adiacente dove eravamo già pronti ad intervenire. In pochissimi minuti è stato aperto il torace, dando più spazio ai polmoni per respirare. Quindi, altrettanto rapidamente, si è provveduto ad asportare completamente la massa neoplastica, quasi 8 centimetri di diametro massimo nel torace di un esserino di meno di 2 chili! A quel punto il compenso emodinamico e respiratorio sono migliorati, la situazione clinica si è lentamente stabilizzata, ed il bimbo è stato trasferito nella Terapia Intensiva Cardiochirurgica dove si è lentamente ripreso. Alla fine dell’intervento chirurgico ci siamo guardati negli occhi tutti quasi increduli. Avevamo coordinato le azioni di così tanti professionisti che quasi non ce ne eravamo resi conto. I ginecologi avevano eseguito il parto cesareo sulla mamma assistita dagli anestesisti a lei dedicati. I neonatologi avevano preso in cura il neonato e collaborato con i cardioanestesisti per consentirne la stabilizzazione della respirazione, i cardiochirurghi pediatrici avevano asportato il tumore. Cinque equipe mediche ed infermieristiche indipendenti con il relativo personale di supporto avevano collaborato in maniera perfetta, ognuno aveva fatto il suo secondo una strategia pianificata, provata e riprovata per circa un mese. Tutto aveva funzionato ed il bimbo era salvo!
Un caso analogo ci è capitato dopo qualche settimana, quando un neonato prematuro di poco più di un chilo di peso ha ricevuto una diagnosi di difetto interventricolare, una comunicazione presente tra i due ventricoli cardiaci che ne metteva a rischio la sopravvivenza. Un intervento a cuore aperto era necessario per chiudere il passaggio, ma a quel peso non lo avevamo mai fatto. Anche qui una lunga e meticolosa pianificazione con tutte le figure professionali impegnate ci ha convinti che si poteva fare. Non esistendo dei materiali adatti a condurre la circolazione extra-corporea, la metodica che consente di tenere in vita il paziente durante un intervento a cuore aperto tramite una macchina che “respira” e spinge il sangue nei vasi al posto del cuore, abbiamo dovuto “inventarli”!!! Ad esempio, la cannula che normalmente riporta il sangue ossigenato dalla macchina nel paziente è stata sostituita da una piccola agocannula, quella che normalmente si usa per fare i prelievi di sangue dalle vene. Non esistendo materiali così morbidi da adattarsi alla consistenza del muscolo cardiaco di un bimbo di un chilo abbiamo dovuto utilizzare il suo pericardio, cucito con fili sottilissimi e con estrema cura e delicatezza al bordo del difetto. Anche questa volte è andato tutto bene ed il piccolo è stato rapidamente restituito al calore dell’abbraccio della mamma, anche lei incredula per quello che avevamo fatto.
Allora è vero che si può fare di tutto, che la medicina non conosce limiti? Assolutamente no, si può fare molto ma non tutto, ma l’aspetto fondamentale riguarda la capacità di collaborare, di pianificare, di non arrivare tardi. L’esperienza ci ha insegnato tanto, la tecnologia ci da strumenti precisi, ma è sempre la passione ci deve guidare ad andare avanti, ad accettare le sfide che ci vengono proposte, a dare tutto per i “nostri” bimbi, nostri perché tali vanno considerati, e con la stessa determinazione con la quale affronteremmo la malattia di nostro figlio dobbiamo cercare di curare i nostri piccoli pazienti. Immedesimarsi nel genitore che abbiamo di fronte aiuta a capire come agire, come porsi nei suoi confronti, per fargli capire che non possiamo garantire il successo dell’intervento chirurgico ma possiamo garantire che faremo di tutto per salvare il figlio che ci hanno affidato, un patto che si rinnova ogni giorno davanti alla porta della nostra sala operatoria.
Con la consapevolezza di questo rispetto per la vita di tutti, soprattutto per quella dei piccoli bimbi che curiamo presso il nostro centro, abbiamo assistito negli ultimi giorni allo scempio di una guerra assolutamente inaccettabile, con una violenza ed una cattiveria alla quale non siamo abituati, verso tutti, soldati, civili, vecchi, bambini. Tutti uguali sotto le bombe, tutti uguali di fronte ai cannoni: una aggressione inaccettabile che ci riporta a dei tempi che stridono con la realtà attuale. Abbiamo inventato tecnologie che ci consentono di salvare i neonati di pochi chili e quelle che ci permettono di distruggere un ospedale pediatrico con tutti i suoi piccoli pazienti dentro. Questo appare troppo inaccettabile agli occhi di tutti, ma soprattutto a quelli di chi, come me, ha dedicato la sua vita ai più indifesi del mondo, ai bambini.

Carlo Pace Napoleone

Leave a Reply