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LA BELLEZZA DELL’ITALIA NON E’ SMART RIPENSARE CITTA’ A DIMENSIONE UMANA

By 26/07/2022Settembre 22nd, 2022No Comments

Le riflessioni di Gio Dardano, per anni Presidente dell’Ordine degli Architetti di Torino, studioso di Bioarchitettura – Preservare l’Ambiente impegno costituzionale e civile – I rapidi cambiamenti della società moderna tengono conto dei processi tecnologici,
non della Conoscenza – Il concetto di sostenibilità

Capita spesso di conversare amabilmente con amici dello stato dell’arte del nostro Bel Paese. Sull’onda entusiastica della mia indelebile italianità, spesso esalto le magnificenze di un patrimonio paesaggistico in cui l’uomo, nei tempi, ha saputo coniugare con la natura tutta la sua idea di bellezza. Ed è in queste conversazioni che emerge di solito un rammarico temporaneo, legato alla prossimità della storia ed alla deformazione professionale: perché per trovare la bellezza devo soprattutto guardare indietro?
In un momento in cui la temperatura politica fa concorrenza a quella meteorologica mi soffermo su due concetti: sviluppo e sostenibilità. Mi rendo conto che si tratta di concetti abusati in cui i comunicatori di massa da tempo stanno esercitando le loro abilità interpretative, per questo intendo partecipare al dibattito ponendo alcuni quesiti. Di quale sviluppo parliamo? Chi decide la sostenibilità dello sviluppo? Come si verifica il grado di sostenibilità ? In Italia, 1946, “dopoguerra”: l’idea di sviluppo coincide con “ricostruzione” coniugabile con urgenza ed emergenza.
Gli ambiti disciplinari coinvolti sono molteplici ed investono la vita del Paese sia dal punto di vista culturale che sociale. Le istanze espresse da una società devastata dalle guerre hanno trovato risposta eludendo il vincolo etico della sostenibilità nelle varie declinazioni. Si ricostruisce rendendo prioritari i bisogni a breve termine; si alimenta così una cultura autofaga, bulimica senza visione prospettica né di medio né di lungo termine. Urgenza ed emergenza dominano la scena globale.
Urgenza ed emergenza però sono le chiavi di accesso della speculazione e della deregulation, categorie incompatibili con la sostenibilità, in specie quando si mette la politica a guardia dell’economia.
L’8 febbraio scorso, dopo più di 70 anni, il legislatore ha finalmente inserito la parola “ambiente” nella Carta costituzionale, aggiornando gli art.9 e 41, precisa che lo sviluppo deve rispettare la natura e la Terra va intesa come bene comune.
I segni del nostro sviluppo li troviamo nei dipinti, nelle architetture, negli oggetti; attraverso questi segni agli italiani è riconosciuta la capacità creativa, la raffinatezza dei costumi, la sensibilità e l’abilità di modellare esteticamente oltre che funzionalmente i territori.
L’attrattiva estetica del Bel Paese è intrinseca persino negli antichi borghi abbandonati, ora oggetto di attenzione a causa di un processo di recupero e rigenerazione attivato dagli abitanti di metropoli ormai inadatte ad appagarli emotivamente. Le città progettate come macchine efficienti hanno bisogno di essere riumanizzate. Già nel progetto le categorie dettate dall’ingegnerizzazione dei sistemi funzionali e razionali delle pubblicizzate smart city non sono sufficienti, è necessario che nelle città sia facilitata la coltura dei sentimenti e delle emozioni naturali, è urgente ripensare città a dimensione umana più che “urbana” per abitanti imperfetti.
Le città progettate e pianificate per aggregazioni di “abitanti perfetti”, teleguidati mediaticamente nei consumi e nei bisogni, svilupperanno prevalentemente non luoghi di consumo. Nei territori antropizzati artificiali, il tempo ha consolidato cultura e umanità, è l’ingrediente che consente la nascita di un rapporto armonico tra uomo e ambiente. La velocità di realizzazione non è una qualità prioritaria.
Di mutazione in mutazione la società contemporanea attua cambiamenti rapidissimi che purtroppo si scontrano con l’epistème, il dominio che impedisce i mutamenti, la giostra tra consenso e dissenso intersoggettivo.
Il tempo di adattamento è indispensabile altrimenti le case restano case e le città diventano categorie amministrative in cui sono sempre più ardue la comunione, la condivisione e la partecipazione è opportunistica e di natura economica.
L’Italia si è illusa di poter far fronte all’aggressione ambientale del consumismo con un impianto normativo raffinato che ormai è divenuto alluvionale, ma lo sviluppo del mercato immobiliare ha avviato processi di cambiamento esponenziali ed inarrestabili e danni ambientali insostenibili.
Dagli Anni Settanta del secolo scorso, prima come artista e poi come architetto libero professionista impegnato anche istituzionalmente come presidente dell’Ordine degli Architetti di Torino e, attraverso l’Istituto Nazionale di Bioarchitettura, ora come membro del Comitato scientifico, indago le modalità di interazione tra uomo e ambiente con l’impegno di ridurre l’impatto negativo sul territorio provocato dalle attività umane: dal costante consumo di suolo alla cementificazione di vaste aree del Paese attuata con stratagemmi e furbizie.
L’uomo è parte integrante della natura, una natura fragile, di una fragilità che si può constatare individualmente sia fisicamente che attraverso i sensi e le emozioni e va protetta, salvaguardata. In questo ultimo secolo abbiamo maturato le competenze tecnico scientifiche per realizzare opere di qualsiasi livello di complessità senza rischi di errori ed in piena rispondenza ai criteri di sostenibilità più audaci: usiamole! Le città, governate dal mercato, perdono la forma antica e si rigenerano come frattali con metodi virtuali incapaci di errori, ma diventano algide, anestetiche.
Cambia volto il paradigma dello sviluppo, il linguaggio delle forme e degli spazi. Si pensa virtualmente e si progetta in metaverso e la realtà fisica delude i praticanti del wargame perché la fisicità della materia deprime l’immaginazione luminosa del virtuale. Le città italiane perdono identità a causa di edifici pensati come “protesi” funzionali, tecnologiche, con il microclima interno controllato ed asettico che sostituiscono gli edifici vecchi, che sfidano il cielo e competono con la natura.
Il mimetismo verde, come in un film, anticipa scenari apocalittici in cui il mondo vegetale si riappropria degli spazi antropizzati e nasconde il nuovo volto della speculazione edilizia giustificato da crisi energetica e cambiamenti climatici.
Le nuove città proposte sono tutte CITY, sono tutte SMART visivamente omologate, ingegnerizzate, luoghi senza identità e anaffettivi.
Si chiama rigenerazione urbana l’aggressione temporanea ecosostenibile modaiola del territorio anche storico. La velocità degli interventi e delle realizzazioni altera irrimediabilmente la percezione estetica e la rassicurante sedimentazione culturale dei luoghi storici che si offrono come prodotto turistico. In questo clima il concetto di sostenibilità implica la capacità di governare un processo di trasformazione permanente, sistemi complessi interconnessi e adattivi con una visione chiara e condivisa.
Se in prospettiva la complessità dello sviluppo sarà tale le future generazioni si dovranno adattare ad esso, o si ipotizza una mutazione genetica della mente umana? L’uomo saprà reggere allo stress indotto dall’esigenza di adattarsi costantemente ai cambiamenti? Per questo occorre che i ricercatori e tecnici rallentino i ritmi e gli intellettuali non depongano le armi.
Spesso ci si domanda come mai non si usano gli strumenti culturali multidisciplinari più evoluti che possediamo coniugando ricerca, innovazione e sviluppo sostenibile. Conosciamo perfettamente le carenze e le inadeguatezze dei servizi, dall’acqua all’energia.
Siamo i migliori al mondo nello sviluppo di sistemi di produzione di energia rinnovabile: perché le nostre tecnologie sono esportate in tutto il mondo e noi non le adottiamo?
Salvo poi allarmare la popolazione con proclami su cambiamenti climatici e una crisi energetica sempre imminente ma conosciuta, analizzata e prevista fin dal secolo scorso della quale, chi di dovere, non si è preoccupato.
Per adeguare edifici energivori, o obsoleti realizzati in spregio di tutte le raccomandazioni, gli appelli e le leggi sul risparmio energetico nasce il PNRR con il contributo del 110%; data l’urgenza e la rapidità di attuazione, riserveranno nel prossimo futuro chissà quali sorprese ed imprevisti sia sul piano economico, sia sul piano tecnico, come il caso della curiosa nidificazione di volatili nei cappotti di rivestimento di facciata in Emilia Romagna, appena finito.
Sul piano delle infrastrutture viarie le sorprese ed i paradossi non mancano: in Liguria crollò un ponte, non un ponte qualsiasi, un’opera d’arte del 1963 dell’ing. R. Morandi, per carenze manutentive, in verità per totale insensibilità e rispetto delle nostre opere d’arte e del patrimonio artistico nazionale; lo stesso trattamento riguarda acquedotti romani, fortificazioni, edifici e borghi, affreschi… l’elenco potrebbe essere infinito e per contro sono invisibili, abbandonati in condizioni di degrado insopportabile.
Ricordo che grazie a questi beni il mondo ci riconosce un primato culturale unico e su questo patrimonio fondiamo la nostra credibilità internazionale.
Siamo i migliori conservatori, restauratori, archeologi e progettisti di opere di ingegneria e architettura, pianificatori e paesaggisti chiamati in tutto il mondo, ma non ci occupiamo dei nostri beni.
Siamo considerati tra i migliori al mondo nella progettazione di ponti eppure il prof. Ing. Arch. Enzo Siviero esperto tra gli esperti, per la realizzazione del “ponte di Messina” si sta battendo da anni per dimostrare che un ponte non è soltanto un rammendo, una ricucitura di uno strappo tra lembi di territorio, ma una proiezione nel tempo, un nodo interattivo di una rete che permetterà all’Europa di interagire con la cultura mediterranea senza ostacoli fisici e non.
Chi si è occupato e si occupa dello sviluppo del Bel Paese, mi ricorda il comportamento contraddittorio del “cane dell’ortolano” di Lope de Vega che non mangia le verdure del suo padrone né permette ad altri di mangiarle”. In sinergia con i processi di sviluppo mirati a soddisfare i falsi bisogni si alimentano degrado e inquinamento, si consuma il suolo e non ci si occupa delle acque.
Un sistema acefalo o fornito di troppi cervelli trasforma le risorse in rifiuti.
Il filosofo Emanuele Severino nel suo “Legge e caso” dal 1979 sollecita la nostra attenzione sull’intersoggettività di un mondo dominato dalla scienza, e avverte che il rapporto tra uomo e ambiente nel mondo contemporaneo è espressione di una volontà di potenza, una costante prova di forza.
Lo sviluppo, sinonimo di dinamismo, di crescita e benessere, non è un processo permanente, quando rallenta diventa “crisi”, stasi.
La natura ci suggerisce con i suoi allarmi che dovremo essere sempre più inclusivi e interconnessi per concorrere ristabilire con la natura un rapporto responsabile. Armonia e bellezza sono, nell’accezione più ampia, la nostra eredità e la mia missione.

Gio Dardano

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