
“La legge 26 del 2021 delega al Governo la soluzione delle controversie personali, amministrative e delle famiglie” – Le conseguenze sul lavoro – “I principi generali del processo” – Un provvedimento che accresce le criticità del sistema giudiziario
La “Riforma Cartabia” del processo comprende due distinti decreti legislativi, uno in materia penale (decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: “Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”) ed uno in materia civile (decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149: “Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”).
Il codice di procedura penale (risalente, nella sua prima formulazione, al 1988) ed il codice di procedura civile (risalente addirittura al 1940) hanno subito negli anni numerosi interventi di modifica, nel tentativo, più o meno riuscito, di rimediare alla cronica lentezza – e conseguente inadeguatezza – del processo. La Riforma Cartabia è solo l’ultimo di questi, anche se costituisce una revisione organica e piuttosto radicale della giurisdizione.
Alle professioni giuridiche (giudici, procuratori della Repubblica, cancellieri, ufficiali giudiziari, avvocati e notai) viene richiesta, quindi, una costante attività di aggiornamento. Quale avvocato civilista, le mie reminiscenze della procedura penale risalgono ai tempi dell’università, per cui eviterò di esprimermi nel merito di una Riforma penale che conosco appena, ma che ha comunque già suscitato numerosi commenti, anche nei media, per il suo maggior appeal ed interesse del pubblico.
Il meno acclamato processo civile, tuttavia, ha in concreto un’applicazione più diffusa, posto che chiunque, anche senza commettere reati, nel corso della vita si trova nella necessità di tutelare i propri interessi nei confronti di terzi: rapporti di lavoro, trattative con banche ed assicurazioni, contratti di compravendita, di mobili od immobili, questioni di diritto di famiglia, successioni ed un’infinità di altri aspetti della quotidianità sono regolamentati dal diritto civile e dalla relativa procedura.
La riforma del processo civile, poi, ha dirette e rilevanti conseguenze, fra le altre, sul processo del lavoro, sul processo amministrativo e sulle cosiddette A.D.R. (Alternative Dispute Resolution, ovvero mediazione e negoziazione assistita) che con la nuova riforma vedono ulteriormente ampliati gli ambiti di applicazione.
In estrema sintesi – e senza menzionare gli interventi, anch’essi assai invasivi, sui giudizi di impugnazione – i principali interventi della riforma della procedura civile riguardano:
a) Principi generali del processo: atti e memorie devono essere redatti nel rispetto dei principi generali di chiarezza, specificità e sinteticità; lealtà e trasparenza devono permeare l’intero iter processuale ed i rapporti fra le parti e con il giudice. La violazione di tali principi ha rilevanti conseguenze sanzionatorie, soprattutto in termini di liquidazione delle spese di lite e di condanna per responsabilità aggravata.
b) Modifiche al procedimento ordinario di cognizione: alla prima udienza la causa deve essere già definita nel thema decidendum e nel thema probandum, affinché il giudice abbia un quadro completo della vertenza; di conseguenza, il termine dilatorio fra citazione e prima udienza è stato ampliato fino ad oltre 120 giorni, con termini intermedi rimodulati per la costituzione del convenuto, il deposito delle memorie di precisazione delle conclusioni e le istanze istruttorie di entrambe le parti.
Anche la funzione della prima udienza è stata modificata in misura rilevante: le parti devono comparire personalmente per essere interrogate ed affinché il giudice possa esperire l’obbligatorio tentativo di conciliazione; ove le parti non si concilino, il giudice può, in alternativa: disporre il passaggio dal rito ordinario a quello semplificato; accogliere o rigettare subito con ordinanza le domande dell’attore – ove ritenga già raggiunta la prova ovvero esse appaiano manifestamente infondate; provvedere sulle istanze istruttorie, già calendarizzando l’intero processo; in tale ultima ipotesi, anche la successiva fase decisoria ha subito radicali modifiche, con la soppressione dell’udienza di precisazione delle conclusioni e l’anticipazione a prima dell’udienza di rimessione in decisione di tre termini ridotti, per il deposito di domande, comparse conclusionali e memorie di replica.
Rafforzamento del procedimento semplificato di cognizione: disciplinato dai nuovi artt. 281-decies c.p.c. e seguenti, il procedimento semplificato (fino a ieri denominato “sommario”) di cognizione diviene centrale ed obbligatorio per ogni controversia in cui, i fatti di causa non siano controversi; la domanda sia fondata su prova documentale o di pronta soluzione; richieda un’istruttoria non complessa.
Rinnovato procedimento davanti ai giudici di pace: la competenza dei giudici di pace è stata ampliata fino a 10.000,00 euro per le cause relative a beni mobili e fino a 25.000,00 euro per le cause di risarcimento danni da circolazione di veicoli o natanti; il rito segue quello del procedimento semplificato di cognizione e la domanda deve quindi essere proposta con ricorso e non più con citazione; infine, anche davanti al giudice di pace troveranno applicazione le disposizioni sul processo civile telematico la cui entrata in vigore, tuttavia, è fissata al 30 giugno 2023 per l’assoluta attuale inadeguatezza degli uffici pubblici.
Riordino del diritto di famiglia: il nuovo titolo IV-bis del libro secondo del codice di procedura civile, composto di ben 73 articoli, ha istituito il “Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie”, destinato a sostituire l’attuale tribunale per i minorenni e ad acquisire, quindi, competenze sia civili che penali; il nuovo titolo ha introdotto un nuovo rito unificato da applicare ai procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie, caratterizzato dall’abbreviazione dei termini processuali.
La “Riforma Cartabia”, come tutte le grosse novità, essendo intervenuta in maniera massiccia su procedimenti stratificati, ma ormai metabolizzati dai professionisti del settore, elimina certezze e crea perplessità che rendono inevitabili, ma non sempre meritate, le critiche che piovono da più parti.
Tuttavia, occorre subito segnalare la sensazione che la Riforma sia stata troppo frettolosamente varata, più per la necessità di sottostare alle richieste dell’Europa, che per la corretta finalità di ovviare alle criticità del nostro sistema giudiziario.
Per stessa ammissione della ministra Cartabia, infatti, gli interventi riformatori sono nati dall’esigenza di raggiungere precisi ed ineludibili obiettivi del P.N.R.R. (da cui dipendono fondi europei essenziali per il nostro Paese), concordati con la Commissione Europea: la riduzione dei tempi del processo entro i prossimi cinque anni, per un 25% nel settore penale ed un 40% in quello civile.
Per quanto si tratti di obiettivi del tutto coerenti con principi costituzionali e sovranazionali, il rispetto dei tempi rigorosi imposti da Bruxelles sembra aver comportato l’impossibilità di affrontare obiettive carenze strutturali (per mancanza di risorse economiche ed umane) ed il non aver considerato numerose istanze provenienti da diverse categorie di professionisti del settore.
Addirittura, la c.d. “legge di bilancio 2023” (L. 29 dicembre 2022, n. 197) ha disposto l’anticipazione di gran parte della Riforma della giustizia civile al 28 febbraio 2023, anziché al 30 giugno 2023 inizialmente previsto, in maniera scoordinata e senza attendere che il sistema giudiziario sia stato adeguatamente strutturato o abbia avuto il tempo di elaborare ed accogliere le novità.
Anche se la Riforma è stata ponderata da fini giuristi ed eminenti professori, inoltre, essa pare non aver tenuto conto delle criticità e problematiche di chi si trova a dover utilizzare giornalmente le nuove norme in un sistema obsoleto, senza quel confronto diretto con gli altri attori del processo che i depositi solo telematici e la prevista diminuzione delle udienze rendono sempre meno possibile.
A titolo di esempio, l’idea della prima udienza di trattazione quale momento centrale e risolutivo del procedimento appare di difficile concretizzazione nel nuovo procedimento ordinario di cognizione: le numerose attività che le parti devono svolgere prima del vaglio del giudice potrebbero risultare inutili o erronee (si pensi all’ipotesi di successivo intervento di un terzo nel giudizio – con conseguente mutatio o emendatio libelli -) ovvero ridondanti in quanto prudenzialmente effettuate per evitare decadenze e possibili contestazioni; di conseguenza e comunque, il giudice si troverà a dover esaminare un fascicolo già voluminoso, contenente una gran congerie di atti e documenti che ne renderanno più arduo e lungo l’esame: considerato anche il carico di lavoro già esistente, le tempistiche si allungheranno, a scapito dell’analisi ed approfondimento delle questioni sollevate dalle parti.
In estrema sintesi, la Riforma pare essere stata adottata secondo una prassi in passato comune ad alcune case automobilistiche: immettere sul mercato un modello non completamente sviluppato, attendere le segnalazioni di vizi da parte della clientela e rimediare con successive versioni via via migliorate e più performanti.
Se, tuttavia, già tale prassi non era plausibile per prodotti di largo consumo, essa appare decisamente inammissibile per un “prodotto” da cui il cittadino attende la tutela dei propri diritti.
Massimo Demaria