
L’occupazione pacifica e costruttiva di 20 istituti è il segno tangibile della partecipazione dei ragazzi
“Cambiare il mondo”; è questo che ci si aspetta dalle nuove generazioni. In passato i giovani sono stati sempre in prima linea per favorire i cambiamenti politici, sociali e, persino, musicali. Ma allora quali per quali ragioni molti ancora affermano, che i giovani di questi primi venti anni del Duemila non siano protagonisti di questi cambiamenti?
Si dice spesso, infatti, che noi, della “generazione Z” – è questo il nome che ci è stato dato in contrapposizione ai giovani degli anni passati – non abbiamo dato alla società quello scossone che taluni si aspettavano. Non è così: la lotta per fermare il cambiamento climatico, per esempio, ne è la prova lampante. Il movimento di Greta Thunberg, la ragazza svedese che con le sue incisive parole, la sua tenacia, ha svegliato le coscienze di tanti popoli, ci ha reso sicuramente più presenti, più informati ed ha avuto anche un risultato estremamente importante: ha costretto i grandi del pianeta a piegarsi e ascoltare le richieste di ragazzini che hanno osato alzare la voce per urlare che non sarebbero stati zitti guardando le multinazionali rubare il futuro che appartiene ai giovani.
“Il futuro appartiene ai giovani” è una frase nella quale anch’io ho sempre creduto, che mi è sempre piaciuta perché evoca, in qualche modo, quella fame giovanile, quella voglia di prendersi tutto, forse anche qualcosa in più pur di avere una vita migliore che la sopravvivenza noiosa e svogliata.
Sono numerose le ragioni vere e supposte, che sostengono l’intolleranza dei giovani verso la politica e a società che al futuro dei giovani non pensano.
Prima fra tutte è ovviamente la sempre più forte attrazione di giovani e adolescenti nei confronti di cellulari, computer e console, messi sotto accusa una parte della società che punta a criminalizzare questi oggetti come fossero la causa di tutti i nostri problemi.
Penso sia profondamente sbagliata questa generalizzazione. La tecnologia elettronica applicata alla telecomunicazione, è una delle invenzioni più importanti della storia dell’uomo, tale da permettere in pochi click possibilità immense d’informazione. Si può fare tutto: si imparano nuove lingue, ci si tiene in contatto con persone provenienti da tutto il mondo. Non è giusto pensare, in modo superficiale, sondare il pensiero dei giovani e non rendersi conto che in realtà il cellulare, sia uno strumento ormai indispensabile, che apre anche ad un ipotetico pensiero critico, superando semplicemente lo scambio delle idee.
Allora qual è la vera ragione per la quale gli adolescenti sono sempre più lontani dalla vita politica?
La risposta è in realtà semplice se si ha il coraggio di mettersi nella situazione in cui ci troviamo oggi noi giovani: il costante abbandono da parte della politica ha portato ragazzi e ragazze a disinteressarsi della res pubblica ed a vivere situazioni in cui sarebbe non solo possibile, ma addirittura necessaria, una risposta politica urgente e risolutiva per creare un equilibrio sociale tra generazioni diverse. La verità, come sempre, ha sfaccettature poliedriche: proprio in questi giorni moltissimi giovani “abbandonati dalla politica” sono scesi in campo, hanno occupato pacificamente a Torino, una ventina di scuole, rivendicando il diritto a studi più consapevoli, di essere interpellati sui programmi ministeriali; giovani che senza alcuna violenza verbale, ma decisi a farsi sentire, pretendono scuola migliore, più vicine alla cultura contemperata alle esigenze dei giovani, che non intendono sfuggire alle loro responsabilità, ma propongono a testa alta, una maggiore partecipazione. Un prova di civiltà giovane importante. Sono stati analizzati molti aspetti dei problemi che angustiano la scuola, a cominciare dai continui tagli all’Istruzione pubblica. Mentre altri Paesi europei ricevono sostanziosi fondi, in Italia i fondi sono molto aleatori e comunque non sempre adeguati ad un vero rinnovamento dell’istruzione. Il che dimostra che i nostri governi (centrodestra, centrosinistra) nutrono poca fiducia, e manifestano pochissima lungimiranza nel futuro.
Di recente ne abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione: un gruppo di professori universitari ha scritto una piccata lettera chiedendo che la Maturità quest’anno non sia uno “scherzetto” ma che torni almeno il tema d’italiano assente negli ultimi due anni di COVID; come se fossimo stati noi studenti a voler stare a casa per più di un anno al posto di andare a scuola, ignorando che noi studenti non abbiamo passato il tempo a farci i cosiddetti… affari nostri, ma a studiare e i ragazzi-lavoratori a lavorare sodo. E’ tristissima la vicenda di Lorenzo, ragazzo di 18 anni, morto durante il suo ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro (o come piace dice ai politici, PCTO) stritolato da una putrella, e poi trattato come un martire da tutti i partiti. Lagrime di coccodrillo, perché ad ucciderlo non è stato tanto una lastra di acciaio, quanto l’idea malsana, secondo la quale gli studenti devono essere introdotti nel mondo del lavoro e alle logiche del profitto fin dalle scuole superiori.
(Consiglio a questo proposito la visione di un intervento meraviglioso dello storico Alessandro Barbero, proprio riguardo i problemi dell’alternanza).
Una grande prova di ubbidienza e consapevolezza, i giovani l’hanno data – loro malgrado – in una situazione già di per sé difficile, durante la pandemia, costretti a stare chiusi in casa a studiare a distanza davanti al computer ed a comunicare soltanto con i telefonini tanto criticati.
Noi ragazzi, abituati ad uscire, a mangiare fuori, bere una birra e stare insieme; i ragazzi che scrivevamo ai genitori di non aspettarci perché avremmo fatto tardi, perché quella vita ci piaceva e che improvvisamente per quasi due anni abbiamo dovuto ritrovare la familiarità con la nostra stanza. In realtà i i giovani stanno cambiando il mondo, anzi lo hanno già cambiato, perché questa nostra pazienza che perdura a causa della recente riavanzata del coronavirus è stata, nella società in cui ci troviamo, lo sforzo maggiore che ci si potesse chiedere e noi abbiamo risposto.
Stefano Amato, studente