AMBIENTETECNOLOGIA

Molte le “dimenticanze” ingiustificabili. L’energia pulita è ancora lontana

By 20/04/2022Aprile 26th, 2022No Comments

Tra la guerra russa e l’ostracismo ideologico, in Italia sale il costo delle bollette e non si affrontano le soluzioni migliori per essere davvero indipendenti dal gas di Putin

Dal giorno in cui la Russia ha invaso l’Ucraina alle immagini e alle parole che hanno accompagnato i racconti di guerra si sono aggiunte analisi e riflessioni sulle conseguenze economiche in generale, ed energetiche in particolare, di questo conflitto. Per l’Unione europea e, vieppiù, per il nostro Paese che, per materie prime e gas, dipendono dall’uno o dall’altro dei due paesi in guerra, in primis dalla Russia.
E così in un clima di generale assuefazione alle immagini e alle parole che dovrebbero tradurre e trasmetterci il dolore delle persone che vivono questa immane tragedia ci stiamo preoccupando non tanto per la vita di tanta povera gente ma per quello che succederà a noi nel brevissimo e nel breve periodo. Come potrem(m)o vivere senza il gas russo? che prezzo dovremo pagare per accendere i condizionatori nell’estate alle porte e riattivare i termosifoni nel prossimo autunno?
Le bollette di gas ed energia elettrica arrivate nell’ultimo mese dicono più di tante parole. Già prima del 24 febbraio le pagine di giornali ci raccontavano, comunque, di come gli aumenti delle bollette dovessero e potessero essere calmierati.
Come arcinoto l’energia nel 2020 costava 60 euro al MWh. Oggi costa ne costa 700.
Nel primo trimestre del 2022 rispetto all’ultimo del 2021 la bolletta elettrica è aumentata del 55%, quella del gas del 41,8%.
Per far fronte alla possibile mancanza di gas russo (e mi permetto di dire auspicabile, segno che le sanzioni per un paese che ne attacca un altro senza motivo stanno sortendo qualche effetto) si è proposto di riattivare le centrali a carbone, dimenticandoci quasi completamente di quanto fatto in questi ultimi anni per decarbonizzare l’economia e provare a contrastare il cambiamento climatico, si è riaperto, per l’ennesima volta, il dibattito sull’energia nucleare, proponendo la costruzione di centrali nucleari “pulite” e di piccola taglia, si è tornato a enfatizzare, nel solco dell’incremento della quota dell’energia generata da fonti rinnovabili, anche la produzione di un vettore energetico come l’idrogeno per stoccare l’energia prodotta e non utilizzata, idrogeno che dopo la sbornia del primo decennio del nuovo secolo e l’oblio del secondo sta tornando nell’agenda di tutti i player pubblici o privati che siano.
Ci si è dimenticati, così, del cambiamento climatico, degli appelli e delle misure per provare a contrastarlo, del tetto alle emissioni di anidride carbonica che ha caratterizzato il dibattito politico degli ultimi anni.
Consapevoli che nel mondo si stanno costruendo 51 reattori di grande taglia si immagina che anche da noi si possa tornare al nucleare, lanciando l’idea di costruire mini reattori, come se nulla fosse accaduto nel nostro paese, in tema di nucleare, dal 1987 in avanti, e, soprattutto, dei tempi che una scelta del genere, comporterebbe.
Si immagina, magari sulla cresta dell’onda emotiva generata dalla notizia che negli Stati Uniti il 29 marzo la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ha superato quella ricavata dal carbone e dal nucleare, che si possano progettare e costruire impianti fotovoltaici ed eolici, per la produzione di energia elettrica o biodigestori per la produzione di biogas e biometano senza conoscere come stanno effettivamente le cose.
Ci si dimentica, infatti, per quanto riguarda il solo fotovoltaico, che dei 60 GW da installare entro il 2030 così come indicato dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, 40 GW sono ancora in attesa di ricevere l’autorizzazione, che solo il 9% dei progetti di impianti fotovoltaici presentati ha avuto il via libera, che 3 GW, pur avendo una favorevole valutazione di impatto ambientale, sono bloccati dalle Sovraintendenze, e che la “burocrazia” blocca, in tutta Italia, circa 1400 impianti di rinnovabili.
Ci si dimentica, poi, per quanto riguarda l’eolico, che nelle Regioni che sono ricche di vento, Sardegna e Sicilia in testa, anche quando i parchi eolici sono progettati lontane dalla costa si registrano opposizioni e levate di scudi, caratterizzate quasi sempre da argomentazioni ideologiche e non da valutazioni oggettive, scientificamente documentate.
Così, come è stato bene documentato dall’articolo di Fabio Bogo su Il foglio quotidiano del 15 aprile scorso del parco eolico galleggiante nel Sulcis, 42 generatori per una potenza di 504 MW a 19 chilometri dalla costa si sono perse le tracce e di quello da 190 turbine sul canale di Sicilia da 290 MW, che avrebbero dato energia a 3,4 milioni di famiglie, si è in attesa di conoscere il futuro. Che si preannuncia a tinte fosche.
E si fa finta di non sapere che mentre il governo italiano cerca di stringere nuove intese con i suoi partner commerciali storici o quelli nuovi (dall’Algeria all’Egitto dall’Azerbaigian al Congo per citarne alcuni) per superare la dipendenza dal gas importato dalla Russia (e l’Unione europea ha stretto un accordo con gli Stati Uniti per acquistare 15 miliardi di metri cubi di Gnl) in Puglia l’associazionismo e i governi “locali” si mobilitano, nel novero della migliore tradizione nimby, per dire l’ennesimo no ai rigassificatori galleggianti necessari per trasformare il gas liquefatto trasportato via nave e immetterlo in rete.
E ancora.
Ci si dimentica, o si fa finta di dimenticare, che anche da una corretta gestione dei rifiuti si potrebbe non dico colmare ma almeno ridurre il fabbisogno energetico del nostro Paese.
La mancata produzione di energia generabile da rifiuti che non vengono trattati in Italia perché esportati (vale la pena ricordare che ogni giorno dalla nostra capitale partono verso termovalorizzatori austriaci o olandesi circa 100 tonnellate combustibile solido secondario, ossia l’indifferenziato raccolto e stabilizzato) vale circa 300 mila MWh all’anno che per un paese come l’Italia che importa energia dall’estero (nel 2020 abbiamo importato il 73,4% del nostro fabbisogno pari a 143,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) si traduce in un costo di circa 30 miliardi di euro all’anno.
E soprattutto si dimentica (prima ancora di parlare di carbone, comunque da importare, e di ritorno al nucleare, comunque da normare) di quell’ostracismo diffuso, di quella opposizione ideologica che ha caratterizzato, bloccando il nostro Paese, qualunque proposta che favorisse la nostra indipendenza energetica.
Perché ogni volta che si è proposto un biodigestore per produrre biometano dalla frazione organica dei rifiuti o dagli scarti agricoli e degli allevamenti, ogni volta che si è paventata la costruzione di un termovalorizzatore per produrre energia e calore da rifiuti che non possono essere valorizzati in altro modo, ogni volta che si è presentata la richiesta per un impianto di smaltimento per rifiuti derivanti dalla produzione di beni che usiamo quotidianamente ma che non possono più essere immessi nel ciclo produttivo, si sono registrate solo levate di scudi con la conseguenza di favorire da un lato l’esportazione dei rifiuti in altre regioni o all’estero e dall’altro le ecomafie, che della cronica mancanza di impianti traggono profitti inusitati.
Prima di rigenerare centrali a carbone o aprire un nuovo dibattito sul nucleare dovremmo renderci conto che abbiamo un tesoro nascosto che altro non sono che i rifiuti che ogni giorno produciamo e che ci piaccia o meno, continueremo a produrre e del sole e del vento che dovremmo essere capaci di sfruttare.
Come noto la migliore energia alternativa è il risparmio e il progetto del governo di contenere i consumi di energia riducendo di un grado la climatizzazione estiva e invernale va in questa direzione. Non superare i 19 gradi di inverno e non scendere sotto i 27 gradi d’estate significa risparmiare 4 miliardi di metri cubi d metano, ossia il 14% del totale del gas importato oggi dalla Russia.
Diminuire i consumi di energia, ridurre la dipendenza dalle fonti fossili, aumentare la produzione dalle fonti rinnovabili, sono i passi necessari in quest’epoca sempre più complessa in cui a fianco della tragedia della guerra incombono le conseguenze di quel surriscaldamento del pianeta che pur non essendo più così presente nel dibattito politico è davanti ai nostri occhi.
Per fare tutto questo in mood efficace e razionale sarebbe necessario però, come ha ben scritto Telmo Pievani sul Corriere del Sera di Domenica di Pasqua, nella recensione del libro di Paolo Legrenzi, Quando meno diventa più, La storia culturale e le buone pratiche della sottrazione “sottrarre spazio al mare dell’ignoranza, alle semplificazioni indebite, alle scorciatoie banalizzanti” che generano, in un mondo e in un’epoca complessa, soluzioni semplicistiche che si traducono in un immobilismo tragico e pernicioso. Per noi e per le generazioni future cui dovremmo lasciare un mondo migliore di quello che ci è stato dato.

Alessandro Battaglino

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