CULTURAPOLITICA

NATALITA’, LO STATO NON E’ ELEMOSINIERE. SUGLI SGRAVI FISCALI UN PESANTE SILENZIO

By 24/05/2023No Comments

La proposta Giorgetti incompatibile con la Costituzione e con ogni principio economico – Sarebbe più opportuna una riforma fiscale – Le cause sociali che determinano la denatalità crescente – Del “baby bust”, scelta deliberata dell’Occidente, ora se ne piangono le conseguenze

Sulla proposta del Ministro dell’economia, on. Giorgetti, di riconoscere un significativo sgravio fiscale alle famiglie con figli, dopo un acceso dibattito, è sceso un silenzio pressoché completo. Questa circostanza non sorprende: le genericità della proposta – quanto detassare, come detassare, come evitare che la detassazione vada a premiare famiglie che non versano in difficoltà economica, dove trovare le coperture economiche necessarie, ecc. – da un lato rendeva difficile intraprendere riflessioni di carattere concreto e che portassero all’individuazione di soluzioni realmente implementabili, dall’altro tale genericità era sintomo della natura meramente propagandista della proposta, che pure intende intervenire e rimediare a quello che è senz’altro un profilo problematico presente nel nostro paese (la cd. devastazione demografica) che richiede interventi significativi.
Proprio in ragione di quest’ultima considerazione – la crisi di natalità (specialmente) del nostro paese è innegabile e quali sono le criticità ed i problemi che possono derivarne è fin troppo evidente per soffermarsi sugli stessi –, pare opportuno ritornare sull’argomento, cercando di condurre la riflessione sulla base di riflessioni di carattere economico, ma non solo.
In proposito, riteniamo si debba cercare di non confondere piani, argomenti e problemi di diversa natura. Infatti, la riforma proposta quale possibile risposta alla crisi della natalità può essere esaminata e giudicata sotto più aspetti, ciascuno dei quali presenta specificità e risposte assai diverse.
Un primo aspetto concerne la ragionevolezza e la conformità alla Costituzione della proposta governativa. L’intervento fiscale proposta dal Governo, infatti, presenta più profili di contrasto rispetto alla previsione di cui all’art. 53 Cost., venendo completamente tralasciato il criterio della progressività nella detassazione, che, nel disegno dell’esecutivo, interesserebbe tutti i soggetti coinvolti al medesimo modo e l’agevolazione fiscale avvantaggerebbe per il medesimo importo tanto chi, ad esempio, ha un reddito di €. 50.000 come chi ha un reddito di €. 200.000.
Anche l’art. 3 Cost, con riferimento ai profili di uguaglianza sostanziale e necessaria ragionevolezza normativa finirebbe per essere violato. Detassazione a chi fa figli si dice: e chi, non per sua scelta, non può averne, dovrebbe esserne tagliato fuori? Detassazione per chi fa figli: e chi i figli già ne ha e con grande fatica ne cura e ne ha curato la crescita e l’educazione, perché non dovrebbe goderne per il solo fatto di averli procreati prima della promessa riforma?
A fronte di queste considerazioni, non sarebbe forse più opportuno, per agevolare la scelta di genitorialità, pensare ad un riforma fiscale che, anziché consistere nella mera (umiliante, a nostro avviso) concessione di un premio in denaro per chi si apre alla vita ed al futuro, faccia leva su una rimodulazione del sistema delle detrazioni, che ridisegni il sistema dell’ISEE quale criterio per individuare chi ha diritto a prestazioni gratuite o a costi minori da parte del servizio pubblico, ed infine che finalmente valuti se introdurre o meno nel nostro sistema tributario la misura del cd. quoziente familiare – proposta delle cui criticità siamo consapevoli, potendo tale strumento disincentivare le scelte delle madri di cercare l’ingresso nel mondo del lavoro.
In secondo luogo, la validità della proposta governativa quale possibile risposta al problema della crisi demografica può essere valutata considerando la circostanza che la scelta di rinunciare alla procreazione può dipendere (ed anzi si ritiene dipenda principalmente) dalle criticità e difficoltà che caratterizzano da sempre l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro. In proposito, la tematica che si pone è semplice da enunciare: si fanno sempre meno figli perché è difficilissimo conciliare maternità e lavoro, senza considerare poi quale ostacolo costituisce la genitorialità per la crescita professionale delle donne, spesso costrette a rinunciare ad aspirazioni di carriera se intendono garantire adeguata assistenza alla prole.
Se in relazione al precedente aspetto sopra esaminato, la soluzione proposta dal Governo pareva criticabile, con riferimento al tema in oggetto la suggerita riforma pare destinata alla più completa irrilevanza. Il supporto alla maternità, inteso quale intervento governativo per agevolare la donna nell’ingresso nel mondo del lavoro e consentire la sua crescita professionale, passa per la messa a disposizione della collettività dei necessari (ed ovvi) servizi di assistenza all’infanzia, in particolare nidi ed asili, nonché il potenziamento delle scuole che forniscono il primo ciclo di studio – le elementari in sostanza.
Molto banalmente, va considerato infatti che la prima domanda che una coppia si pone quando pensa ad un figlio è “con chi sta, chi lo tiene mentre lavoriamo?”. La risposta a questa domanda per lungo tempo è stata rappresentata dal supporto familiare ma oggi si tratta di una risposta non più attuale. In proposito, la criticità non è rappresentata tanto dalla circostanza che l’età lavorativa si è allungata e non è raro che i nonni siano ancora al lavoro quando si tratta di accudire un nipote, quanto dal fatto che oggi si pensa alla procreazione in età assai più avanzata rispetto al periodo precedente e ciò fa sì che i “possibili” nonni siano, alla nascita del nipote, troppo anziani per provvedervi ed anzi i “possibili” genitori, al momento di decidere, siano incerti sul passo da fare in quanto, già prima della nascita del figlio, hanno il problema di gestire la vecchiaia della propria madre e padre.
Rispetto a tali considerazioni, la soluzione del Governo è assolutamente irrilevante ed anzi fortemente criticabile per la ragione che pare sottesa alla stessa. Qualora, infatti, si volesse ritenere che il ministro Giorgetti abbia tenuto in considerazione le precedenti riflessioni, la sua proposta andrebbe intesa e letta nel senso che “siccome non ci sono nidi e strutture pubbliche dove far crescere e socializzare i vostri figli, arrangiatevi voi, magari aiutandovi con i soldi che vi dà lo Stato mediante una parziale detassazione”. Una scelta del genere segnerebbe una completa abdicazione da parte dello Stato alla sua funzione di supporto alla scelta della genitorialità e l’intervento pubblico verrebbe confinato nel ruolo di mero elemosiniere di un modesto contributo economico verso chi ha fatto la scelta di dare vita ad una nuova vita.
Non solo. La scelta del Governo di limitare il proprio intervento alla detassazione, per il medesimo importo nei confronti di chiunque, quali che siano le condizioni economiche del beneficiario, evidenzia in massimo grado l’abbandono del principio costituzionale della tassazione posto che, come detto, il medesimo vantaggio economico sarebbe riconosciuto a tutti con le stesse modalità ed allora per chi parte da una ottima situazione economica si tratterebbe di un omaggio non necessario ma comunque assai gradito, chi versa in una soddisfacente posizione patrimoniale potrà scegliere le migliori strutture (private, ca vans a dir) ove mandare i propri figli, chi di quei soldi ha invece bisogno perle proprie necessità primarie infine si arrangerà, cercherà di mandare i propri figli nei nidi pubblici ma solo se ci sono, se sono vicini alla abitazione, se non sono già completi ecc., dovendo altrimenti tornare a cercare soluzioni interne alla propria famiglia senza ricevere perciò alcun ausilio dalle strutture pubbliche.
Tuttavia, ciò che lasci perplessi della proposta governativa è la circostanza che l’Esecutivo sembra che per rimediare al cosiddetto baby bust si debba agire solo sul profilo economico, sulle problematiche attinenti alla sostenibilità economica della scelta di genitorialita’.
In realtà, come scritto recentemente Laura Persins sul Catholic Herald, “l’occidente non è stato colpito da una malattia improvvisa che ha causato l’infertilità totale e tutto il dolore che ne consegue. L’occidente ha liberamente scelto un baby bust. Si prevede che 23 nazioni, tra cui Spagna e Giappone, vedranno la loro popolazione dimezzarsi entro il 2100. E’ generalmente noto che il Giappone, ad esempio, sta fissando un abisso senza bambini [e] l’ultimo shock è arrivato dalla cattolica Italia dove ‘le nascite sono scese a un nuovo minimo storico, sotto le 400.000 unità nel 2022’, secondo Reuters”. Il problema da porsi è cosa sta causando questo calo delle nascite e come lo stesso può essere invertito.
A queste domande, la attuale maggioranza politica risponde che sono fattori economici quelli che hanno causato il declino e che se ci fosse più sostegno per le famiglie, queste avrebbero più figli.
Ebbene, a nostro parere, sebbene è innegabile la rilevanza dei fattori economici, noi riteniamo che le criticità sia dovute ad un atteggiamento culturale: c’è stata una rivoluzione nel nostro sistema di valori e oggi l’occidente non apprezza più i bambini (non a caso, ad esempio, il Lussemburgo ha le politiche per l’infanzia più generose secondo uno studio condotto dall’Economist, ma ha ancora un tasso di fecondità di 1,38, collocandosi al terzo posto più basso tra i paesi europei) e perciò non importa quanto denaro un governo dedichi al problema della bassa fertilità, perché è improbabile che ciò causi un cambiamento a lungo termine.
In realtà, le culture europee hanno iniziato a valorizzare maggiormente l’individuo e meno la famiglia e rispetto a questa impostazione la scelta del Governo italiano rischia di essere un segnale di adesione, rafforzando così il nuovo approccio alla scelta di genitorialita’. Dare un gettone per ogni figlio, infatti, è scelta che rischia di confermare la lettura della procreazione quale fenomeno meramente individuale, quale scelta esclusiva del singolo, che non deve aspettarsi nulla dalla collettività, salvo un mero contributo economico. Di contro, il messaggio culturale che dovrebbe passare è che la scelta di fare un figlio è un’apertura verso il futuro, la volontà di contribuire alla costruzione di una collettività apportando alle stessa nuove forze; fare un figlio significa dimostrare la volontà di voler continuare ad appartenere ad una collettività più grande, contribuendo alla sua costruzione ed alla sua vita futura. Se ciò è vero, il contributo della collettività a tale scelta non può consistere nella dazione di una somma di denaro ma occorre un sostegno continuo verso le nuove coppie, verso le nuove madri ed i nuovi padri, che si traduca nel riconoscimento di permessi dal lavoro, della costruzione di asili e scuole primarie, dall’individuazione di spazi verdi, da una maggiore consapevolezza circa i danni che possono derivare dal cambiamento climatico, dalla costruzione di una società più a misura di bambini.
Chiaro che intervenire in maniera strutturale sull’assistenza alla genitorialità è assai più difficile, più complesso rispetto alla scelta di introdurre benefici patrimoniali a pioggia. Però, è noto che non esistono soluzioni semplici per problemi complicati.

Ciro Santoriello