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NON SI GIOCA SULLA MORTE DELLA REPUBBLICA

By 26/06/2023No Comments

Le (fantasiose?) ipotesi di una convergenza al centro dei maggiori partiti italiani per salvare l’Italia dal presidenzialismo – Le reali condizioni economiche e sociali del Paese suggerirebbero alleanze dettate da ragioni politiche opposte – I disastri dell’Emilia Romagna – L’incuria complice della violenza naturale – Le ambizioni dei partiti minori

Giocare a scacchi la morte della Repubblica Italiana è un esercizio che nessun politico d’onore, italiano e di altra nazione, deve permettersi. Sarebbe una sfida all’ultimo respiro di libertà, un sigillo sventurato. La metafora, inequivocabile, è portatrice virale di una concezione di vita sociale e politica nazionale e internazionale, che colpirebbe tutti, anche gli stessi “vincitori”. Non ignoriamo per niente, le colpe politiche e sociali di coloro che da almeno quattro decenni non hanno saputo far altro, che assistere, inermi, alla dialettica parlamentare dettata dalla retoria evanescente e dagli equilibri geopolitici che hanno consumato, mortificato la storia stessa della nostra società.
Fragilità del pensiero politico che ha provocato riflessi negativi, complessi di inferiorità, sudditanze a causa delle quali l’Italia non ha quasi mai saputo dare autorevoli consigli che riequilibrassero le decisioni dell’Unione Europea, della Nato, dell’Onu e tanto meno di quell’emisfero politico mediorientale e russo, in cui si sono scatenate guerre fratricide, un putiferio incandescente, atmosfere insostenibili che rischiano una deflagrazione mondiale.
Per restare nei fragili confini italiani, che buona parte della maggioranza di governo vorrebbe limitare, siamo propensi a pensare che non valga più la pena di colpevolizzare il passato, di personalizzare singole responsabilità, che ci sono state. Oggi, è ormai assolutamente urgente, invocare quella “unità di propositi” tra maggioranza e opposizione che, seppur improbabile, sarebbe indispensabile per salvare questo Paese, l’Italia, che sta affondando, abbandonato gli ideali, ridotto in povertà fasce consistenti della popolazioni. E’ ormai tempo che la politica italiana metta la testa a posto, “non a partito”, cessi ogni contrapposizione ideologica per salvare la Repubblica.
Per cogliere questo obiettivo, nessuno si permetta di modificare, gli articoli essenziali, della nostra bellissima Costituzione trasformando il nostro apparato democratico in una Repubblica presidenziale.
E’ su questo aspetto che bisogna concentrare l’attenzione dei parlamentari e i costituzionalisti. Esistono, come è ampiamente noto, repubbliche presidenziali, semipresidenziali, fondamentalmente imperfette, come del resto impefetta è la democrazia, pur sempre da preferire a sistemi autocraici.
E’ arduo destreggiarsi tra mille dubbi alla ricerca della libertà e della salvezza!
Ma perché ci assillano questi pensieri? Perché “fidarsi è bene e non fidarsi è meglio”? No, non è questo il punto. Vogliamo pensare che gli italiani abbiano più fiducia in sé stessi per essere d’esempio agli altri e non subirne nefaste conseguenze. Ma per prevenire, bisogna sapere, essere lungimiranti, intuitivi, colti e intellettualmente onesti per operare in modo equilibrato in ogni settore della vita pubblica interna e internazionale.
Molti gli aspetti da valutare, di ordine caratteriale dei componenti di governo e, più in generale, di ordine politico. Il che è esattamente l’opposto di ciò che dovrebbe essere la politica con la “P” maiuscola. Ma bisogna prendere atto della realtà. Che il mondo abbia manifestato la voglia di virare a destra, è abbastanza chiaro; né, d’altra parte, il centro sinistra è illuminante. Non si muove con agilità e chiarezza d’intenti, diviso com’è da una miriade di pensieri fragili che spianano al centro destra la strada della legislatura.
La premier Giorgia Meloni scalpita sui tappeti rossi dei palazzi della politica internazionale, guadagna consensi con i leader dell’Occidente e dell’UE, “conquista” la Tunisia, “comunica” con parole suadenti in diretta TV (in assenza dei giornalisti) e continua il suo tour, mentre gli “avversari” del centro sinistra fanno da comparse dietro le quinte, in attesa che il dialogo interno con Elly Schlein finisca di essere un copione di pagine bianche. L’unico che di sua sponte cerca di salvare capra e cavoli è il Presidente Stefano Bonaccini, il quale è “disponibile a lavorare insieme con la premier per il bene del Paese, naturalmente senza perdere la nostra identità politica”. Che, d’altra parte, non è messa in discussione. Ma la politica, almeno come la si intende nel nostro tempo, è una serpe velenosa pronta a mordere a destra ed a manca. Ed i morsi sono virali anche per partiti minori come Azione e Italia Viva che potrebbero acquisire nuovi e più consistenti consensi. E’ questo il punto sul quale riflettere, e che Bonaccini ha compreso perfettamente. Almeo così a noi sembra. In questo periodo storico, in cui il centro destra “sgomma”, allunga le distanze e acquista veloci consensi, è meglio condividere rischi e onori politici che portino ad una presumibile ricostruzione dell’Italia ripartendo dal 2024, perché il 2023 segna parecchi drammatici problemi da risolvere.
Se questa ipotesi fosse realistica, il quadrante meteo della politica italiana produrrebbe effetti decisamente positivi per Giorgia Meloni, che diverebbe simbolo della libertà, al riparo dalle esplicite accuse di essere legata a pensieri nostalgici di regime; ma anche per Bonaccini che scuoterebbe il Pd da quest’apatia istituzionale (in attesa della crescita della Schlein?!): il che centrifugherebbe l’assetto istituzionale dell’Italia, in piena sintonia con i Paesi dell’Unione Europea che contano: Francia, Germania, Spagna e forse anche con l’Inghilterra, non nelle migliori condizioni econimoco-sociali e ancora brexit.
Il che – ma siamo nell’ambito di analisi (estreme?) – potrebbe voler dire che i due poli si toccano, fanno scintille, ma producono energia.
Meloni e Bonaccini: Premier e presidente del PD. Sono caratteri forti, battaglieri. Insieme e pur con fini politici diversi possono salvare il Paese? Forse. In questo caso – anche alcuni articoli della Costituzione Repubblicana sarebbero salvi e la Meloni potrebbe inizialmente “accontentarsi” di una repubblica semipresidenziale a sua immagine, sul modello francese tanto discusso (poteri condivisi tra premier e capo dello Stato), oppure come la Repubblica Federale della Germania, ma questa sarebbe una configurazione politica poco aderente alla moltitudine di regioni italiane.
Del resto, quel quadretto vuoto indicato dalla Meloni che attende di accogliere il nuovo presidente, dopo Mattarella, non è senza significato, così come non è senza significato la calorosa stretta di mano (quasi un patto) Meloni-Ursula von der Leyen-Bonaccini nell’incontro in Romagna colpita dall’alluvione. Una fotografia sovente è più eloquente di un fiume di parole. E quell’immagine potrebbe dar adito ad accordi per una svolta, che consoliderebbe anche in Europa la politica centrista. Si consideri anche che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, uomo saggio, portatore di pace e di amicizia, sta facendo di tutto per evitare la deriva presidenzialista, consapevole, delle difficoltà in cui la stessa Giorgia Meloni, potrebbe trovarsi, se contrastata dalla Lega dell’imprevedibile Salvini, nel suo ipotetico disegno. Il recentissimo incontro parigino del Capo dello Stato con Macron, a nostro avviso, è un altro segnale di ciò che si potrebbe discutere già nell’attuale legislatura, ove la premier riuscisse a contenere le intemperanze interne alla maggioranza.
L’Italia, sottoposta alle sofferenze provocate dal cambiamento climatico, dall’ultradecennale incuria per la natura che ci circonda; dall’economia che affama una fascia consistente della popolazione; dall’incontrollato aumento delle tasse, delle bollette energetiche; dalla cultura, dall’istruzione sempre più carenti; dall’organizzazione sanitaria che lascia i degenti nei corridoi ed i pazienti che attendono mesi per una gastroscopia, non può più attendere per essere risanata.
I recentissimi tragici eventi dell’Emilia Romagna sono l’ennesina dimostrazione di irresponsabilità collettiva che dura da decenni: l’inodazione del Polesine (1951), una parte della Campania, dalla costiera amalfitana fino a Salerno, finisce sommersa da acqua e fango. Straripamenti, frane, voragini, ponti crollati, strade e ferrovie distrutte. Oltre al capoluogo di provincia, le situazioni più critiche a Vietri sul Mare, Cava de’ Tirreni, Maiori, Minori, Tramonti. I morti, secondo la Protezione civile, nel 1954 sono 303; l’alluvione che sacrificò Firenze (1966 e commosse il mondo) nel 1998:”Sarno, Quindici, Siano e Bracigliano. Un’alluvione causa 160 morti. Il Vesuvio vomitava lingue di fango e la colata non risparmiò nulla: persone, case, un ospedale, persone, case, scuole. Sarno, con 137 vittime è staa la città più colpita. Nelle strade i detriti raggiunsero un’altezza di oltre 5 metri. La frazione di Episcopio era stata sepolta. Ci fermiamo per non fare un bollettino di morte, ma le mutazioni climatiche, che per mille ragioni la Natura impone e che il consesso scientifico mondiale annuncia da anni, ci dicono che bisogna cambiare rotta, subito.
Come? Aprendo la politica al dialogo serio e congiunto, in Italia e nel mondo. Senza contrapposizioni. Intervenire sulle emergenze è sacrosanto, ma non si può ignorare che l’uomo ha fatto di tutto per agevolare la violenza della natura. Se in Emilia Romagna, come nel resto dell’Italia alluvionata fossero stati costruiti grandi canali di scolo, le acque sarebbero defluite senza aggiungere altri disastri.
E’ questa maledetta abitudine all’inganno, alla superficialità di chi ha il potere, che condiziona la vita quotidiana di questo Paese.
Una mentalità mafiosa e retrogada che contagia, lo ripetiamo, la burocrazia, il malaffare, una mentalità che la politica ha fatto propria soltanto per soddisfare la propria supremazia sulla gente onesta che lavora e che ambisce ad una vita serena e sicura. Lavoro e sicurezza. Anche nell’edilizia, nell’industria, nelle fabbriche gli incidenti mortali si susseguono di giorno in giorno. E l’Italia che lavora protesta? No, attende di celebrare altri funerali.
Non è questa l’Italia che vogliamo. Ecco perché la politica non può continuare a dividersi. Gli italiani che lavorano non hanno bisogno di assistere a politici che sguazzano nel fango. Hanno bisogno che il fango non allaghi più le case, le officine, i garage, i sottoponti. Hanno bisogno di lavoro, sanità, cultura, scuola. Hanno bisogno di una sana democrazia.

Armando Caruso