
L’Illuminante citazione di Marco Polo – Nell’antica Grecia erano i cori l’essenza fondante della relazione, del dialogo politico – L’ “Antigone” di Sofocle e i grandi conflitti – Dai nobili temi dei classici ai banali “intrattenimenti” della nostra società – Quel concetto mai sopito di rivoluzione
Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. “Ma quale la pietra che sostiene il ponte?” chiede Kublai Kan. “Il ponte non è sostenuto da questa o da quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano”.
Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: “perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m’importa”. Polo risponde: “Senza pietre non c’è arco”. Italo Calvino, “Le città invisibili”.
È il V sec a.C. quando in Grecia Eschilo, Sofocle e Euripide scrivono le storie dei grandi eroi e delle grandi eroine che ad oggi portiamo in noi come modelli archetipici di riferimento. Chi di noi, studiando una tragedia classica a scuola, non si è trovato a innamorarsi di qualche personaggio, leggere tutte le scene e saltare invece i cori?
Eppure è proprio nei cori che sta l’essenza del teatro: la relazione. Attraverso i cori il popolo veniva educato a vivere nel contesto sociale e politico che si stava sviluppando, la democrazia, e a condividere un patrimonio culturale attraverso cui si sarebbero poi fatte le scelte per la città. Il teatro, in Grecia, era un fatto politico.
La tragedia classica si sviluppa insieme alla democrazia, perché nella democrazia trova i suoi argomenti. La tragedia è l’origine di un conflitto irrisolvibile, che polarizza grandi temi. L’esperienza tragica può essere compresa solo in relazione ai valori sviluppati nei contesti sociali e politici di riferimento.
Uno dei conflitti politici che sorge, per esempio, nell’Antigone di Sofocle è la scelta tra le leggi degli uomini e quelle degli dei. Eteocle e Polinice, i fratelli di Antigone, in seguito alla maledizione di Edipo, loro padre, scatenano una guerra fratricida per il governo di Tebe. Muoiono entrambi. Eteocle viene sepolto con tutti gli onori, mentre per Polinice nessuna sepoltura: Creonte, lo zio di Antigone che governa temporaneamente su Tebe dopo la morte di Laio, emette un bando pubblico: chiunque oserà seppellire il corpo di Polinice pagherà con la morte. Per i greci la non sepoltura era l’atto peggiore che si potesse compiere, poiché non permetteva agli uomini di entrare nel regno dei morti.
Antigone sceglie di seguire le leggi del sangue e seppellire suo fratello violando così quelle degli uomini, che pure hanno le loro ragioni. Il conflitto tra Antigone e Creonte, infatti, è stato letto dando ragione all’uno o all’altro in relazione alle esigenze sociali e alle politiche culturali del periodo storico in atto. La questione fondante della tragedia in relazione all’oggi è che le leggi sono importanti, fondamentali, ma non tutte le leggi sono giuste. Esistono ragioni individuali, personali, che possono superare queste leggi, e per questo esiste la ribellione.
Ma come può giovare alla società il confronto tra politica e teatro?
La politica di oggi si fa per lo più con pochi concetti, con sfumature di parole che sgorgano da una gamma rinsecchita di possibilità di pensiero: serve cambiare le parole per avere progresso nella proposta politica, anche passando attraverso gli estremi di conflitti irrisolvibili, come faceva la tragedia classica.
I paradigmi attraverso cui si approccia la società sono gli stessi a destra e sinistra, e anche se le declinazioni sembrano opposte le radici si nutrono dello stesso striminzito fazzoletto di terra, che ha oramai esaurito le sue risorse.
La rivoluzione è allora ricominciare ad aprire le possibilità politiche a partire dagli orizzonti verbali. Il teatro è per sua intima natura lo strumento che può spingere oltre la consuetudine lo sguardo politico di oggi. Interfacciarsi con i temi di Antigone, con le parole di Sofocle, significa creare per le narrazioni politiche un terreno di confronto con macrosistemi archetipici che permeano la struttura sociale occidentale sin dalle sue origini.
Cosa è giusto, cosa è sbagliato e in quale contesto? Cosa sarebbe cambiato se al potere ci fossero state più donne che uomini? La discussione su questi temi tornerebbe allora terreno accessibile anche ai giovani, non solo come spazio di appartenenza a qualcosa ma anche come stimolo alla formazione di un’opinione politica fondata e corposa, frutto non del momento ma della storia. Senza memoria non c’è innovazione. Affidarsi alle provocazioni dei classici significa imprimere stimoli culturali al tessuto sociale. La cultura chiede di prendere posizione, di fare scelte. Stai con Antigone o con Creonte? Con le leggi degli dei o con quelle dello Stato? È necessario che la politica faccia proposte culturali, e non di intrattenimento. Mentre l’intrattenimento è un fatto privato, e ci sono innumerevoli piattaforme da cui usufruire di questo servizio, la cultura è questione di educazione pubblica: risponde a esigenze sociali creando patrimonio condiviso e rinnovando una memoria collettiva in cui l’intera comunità si riconosce.
Scoprire la battaglia del proprio tempo come parte di un arco lungo di rivoluzioni, sapere che le domande che da giovani ci facciamo sono domande che stanno nell’uomo da secoli, dà coraggio e legittima l’azione rivoluzionaria. A questo punto non posso far altro che chiedermi se non sia la paura che qualcuno finalmente agisca ad aver portato, più o meno consapevolmente, la politica a eliminare la possibilità di relazionarsi con i grandi temi umani che ci accompagnano attraverso la cultura.
“Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m’importa”.
Polo risponde: “Senza pietre non c’è arco”.
Erica Nava
Presidente “Potenziali Evocati Multimediali”