CULTURA

QUOTA 2000, LA FELICITA’ DISABILE VOLA COL VENTO

By 23/10/2023No Comments

Una toccante impresa al Rifugio Vaccarone dei protagonisti dell’associazione “Sport di +”. La gioia di sentirsi uguali a coloro che “guidano” i loro passi alpini – Ecco chi sono: Valter Durandetto e Riccardo Fontanot (disabilità fisico-motorie, guide Massimiliano Lanza e Cristina Massabò) – Alessandra Broda, e Marco Croce (disabilità visive “Blind B2”, guide Daniela Gasparri, e Raffaele La Placa, Alessandro Battaglino) – Francesco Faiella, ed Esmeralda Lisci (disabilità intellettive, guide Roberto Fassina, e Maurizio Palmisano).

Immaginate di percorrere un ripido sentiero di montagna, un sentiero su cui non avete mai camminato.
Immaginate di scendere lungo un aspro e stretto canalino di cui nessuno vi aveva anticipato il passaggio, tenendovi a una corda fissa, un cavo di acciaio ancorato alla parete.
Provate a sentire la sensazione del vento pungente che non molla mai, che sferza il volto e intorpidisce le mani.
Ci state pensando?
Se siete arrivati a questo capoverso senza chiedervi che razza di incipit sia questo e senza passare all’articolo successivo allora provate, ancora, a immaginare di fare tutto questo a occhi chiusi. Senza poterli aprire, MAI.
Immaginate di fare tutto questo senza potervi tenere a quella corda in acciaio.
Immaginate di fare tutto questo fuori dal contesto in cui vi muovete, in cui avete imparato a muovervi, con i vostri punti di riferimento, con le persone con cui siete abituati a confrontarvi.
Questo è quello che hanno vissuto Alessandra e Marco, due atleti “blind”, ossia con gravi disabilità visive, Valter e Riccardo, due atleti con disabilità fisica, Esmeralda e Francesco, due atleti con disabilita intellettiva, che accompagnati dalle loro guide (tra cui chi scrive) hanno realizzato, nel mese di agosto, una piccola grande impresa raggiungendo il Rifugio Vaccarone sulle Alpi Cozie, in Val di Susa dopo essere partiti dal Colle del Piccolo Moncenisio.
Una piccola grande impresa organizzata da Sport di Più, l’associazione nata nel 2000 per promuovere la pratica sportiva tra le persone con disabilità, in collaborazione con la sezione di Chiomonte del Cai, Club Alpino Italiano, il Rifugio Vaccarone, il Comune di Giaglione e il Comune francese di Bramans.
Una due giorni che se da un lato ha messo alla prova atleti e guide dall’altro ha dimostrato ancora una volta che con la forza di volontà e con quella del cuore anche gli ostacoli più difficili si possono superare.
La cronaca.
L’appuntamento è al Refuge du Petit Mont Cenise – lato francese del Lago del Moncenisio – alle sette e mezza del 4 agosto. Con alcuni dei ragazzi non ci si vede (non è un lapsus anche i non vedenti si dicono “ci vediamo”!) dall’inverno scorso ed è un piacere ritrovarsi. Saliamo sui fuoristrada per limare un po’ di salita a piedi.
Fa freddo. Un freddo anomalo per inizio agosto: nuvole basse, cielo scuro che minaccia pioggia, folate di aria gelida. Ci dividiamo il materiale: le corde, gli imbraghi, le radio. Ogni atleta ha la sua guida o le sue guide. Daniela e Raffaele con Alessandra. Io con Marco. Max e Cristina con Valter e Riccardo, Roberto, l’ideatore dell’impresa, e Maurizio con Esmeralda e Francesco. I volontari del Cai di Chiomonte sovraintendono e monitorano tutto e tutti: gente di montagna che sa andare in montagna.
Partiamo. Poca visibilità, non solo per gli atleti blind: si sale su un sentiero facile. Facile? Facile per chi? Per chi vede i sassi, per chi vede i cambi di pendenza, i gradini, le asperità. Non per Alessandra e la sua bravura nel seguire le sue due guide è pari alla loro capacità di accompagnarla passo dopo passo. Una guida avanti e una dietro. Per me e Marco è un po’ più semplice ma solo perché Marco è ipovedente ed è abituato a seguirmi sugli sci, d’inverno, a sentire i miei passi, ad ascoltare la mia voce e il mio tono quando, passo dopo passo, gli dico cosa c’è sul cammino.
Un paio d’ore e siamo al Col Clapier, uno dei tanti posti delle alpi Cozie su cui si dice sia passato Annibale con i suoi elefanti.
Una folata di vento più forte delle altre e il cielo sembra aprirsi: giusto per farci vedere il Lac du Savine. Un piccolo spuntino e via. Riprendiamo il cammino.
Arriviamo all’attacco della salita che ci porterà al Vaccarone. Ci si infila l’imbragatura, ci leghiamo. Il sentiero si fa difficile e impegnativo. Ripido. Impervio. Ad ogni tornante il vuoto sotto di noi aumenta. Due cose mi rimangono impresse. La capacità di Maurizio di dare sicurezza a Francesco che non soffre proprio di vertigini ma “patisce” quel vuoto. Ogni passo una parola. Il sorriso che non si spegne mai, la sicurezza di una Guida con la g maiuscola che riesce a non far guardare quello che c’è dietro ma solo quello che c’è davanti.
La dolcezza con cui Raffaele, Roberto e Daniela accompagnano Alessandra, la ragazza non vedente. Un cammino da “alpini”: costante, sicuro e rassicurante.
Dopo cinque ore di cammino, siamo al Rifugio Vaccarone. Il gestore – Andrea Santoro – e alcuni suoi amici ci stanno aspettando. Il vento soffia sempre più forte. Si fa fatica a stare in piedi ma è tanta la felicità di tutti che, non solo per il vento sempre più forte, sembra di volare.
Lo spettacolo che si apre sulla bassa Valle di Susa, e non solo per il vento sempre più forte, toglie il fiato. L’aria tersa ci permette di vedere Torino, i suoi grattacieli, Superga, il colle della Maddalena: tutto sembra, davvero, a un passo.
Ma quello che è davvero a un passo da ciascuno di noi, atleti, guide, accompagnatori del Cai, è una soddisfazione che sembra quasi felicità.
Non tutti riescono a prendere sonno e non è solo per quel vento che sembra voler portare via il tetto.
La giornata del 5 agosto si apre con la decisione di anticipare la partenza per la discesa, ci abbiamo messo più del previsto a salire non vogliamo rischiare di arrivare alle macchine troppo tardi, e di seguire un sentiero più breve e più diretto.
E quasi subito troviamo il canale con la corda fissa con cui ho aperto il racconto.
I ragazzi del Cai piazzano una corda supplementare per dare ulteriore sicurezza. Le correnti ascensionali portano nuvole dalla bassa valle. Il freddo non da tregua.
Uno dopo l’altro le atlete e gli atleti scendono dal canale: ormai si è creata una osmosi così forte che ognuno ha totale fiducia nell’altro.
C’è tensione, c’è timore ma si percepisce che ognuno ha fiducia nell’altro: una catena che unisce atleti, guide, accompagnatori; una catena dalle maglie strette, che da tanta sicurezza quanto la corda cui siamo legati e il cavo di acciaio che teniamo tra le mani.
Dopo il superamento del canalino saranno ancora diverse le ore per arrivare alle macchine.
Il racconto può, però, concludersi qui.
Rimane e non finisce quella sensazione provata al rifugio.  Per aver condiviso qualcosa di unico. Per essere riusciti a unire abilità diverse e in quella diversità aver trovato una comunione di spiriti e di intenti che raramente si trova nella vita di ogni giorno.
Per la consapevolezza che la montagna è scuola di vita ma che la vera scuola di vita è la condivisione di quello che si è. Senza remore. Senza sovrastrutture. Senza eccessive aspettative.
Alessandro Battaglino