
Due personalità diverse alla ricerca della Verità, discendenti di Giovanni Paolo II – Benedetto XVI, saggezza e umiltà nella “Vigna del Signore” – Il periodo difficile del Suo Pontificato – Fu il primo a scagliarsi contro la pedofilia nella Chiesa ed a chiedere perdono alle vittime – Anche Bergoglio sarà Papa emerito? – Il ricordo personale del papa musicista
Josepf Ratzinger, bavarese, Benedetto XVI, il Papa teologo, ma sarebbe meglio dire il “teologo Papa” e Jorge Mario Bergoglio, argentino, oriundo di Portacomaro (Asti), Papa Francesco il “rivoluzionario”. Due personalità profondamente diverse, due visioni della vita apparentemente all’opposto, ma che infine, si abbracciano, cogliendo un unico fine: l’umiltà. Coltissimo fin da ragazzo l’uno, dedito alla ricerca della Verità Divina, Maestro cercato e amato dai suoi studenti nelle diverse università in cui ha insegnato, profondamente mite, amatissimo da altri eminenti studiosi in teologia che con lui (hanno varcato?) la soglia della Verità; l’altro, Bergoglio, figlio della povertà, di onesti lavoratori emigrato in Argentina, senza velleità per la testa, costretto da ragazzo a giocare per strada, ma anch’egli chiamato alla fede nel Signore.
Due percorsi di vita, un unico destino: ritrovarsi in tarda età sulla Soglia di Pietro per governare la Chiesa Cattolica. Ratzinger, il Maestro dei teologi, che il 19 aprile del 2005 con la gioia negli occhi, le braccia tese al popolo di Roma, aveva annunciato «Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore»; Bergoglio, l’indomito, che nell’apparire alla finestra in Vaticano, esordì dicendo semplicemente: “Fratelli e sorelle, buonasera! Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo. Ma siamo qui. Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! Ma prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca”.
Ratzinger, aveva ricordato il “grande papa Giovanni Paolo II” che, a sua volta, l’aveva nominato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, presidente della Pontificia commissione biblica e della Commissione teologica internazionale, incarichi che mantenne ininterrottamente dal novembre 1981 all’aprile del 2005: amicizia e reciproca stima durate parecchi anni.
Vale la pena di ricordare che Papa Giovanni Paolo II non prendeva nessuna decisione in ambito dottrinale senza consultarsi prima con il cardinale Ratzinger. La fonte è autorevolissima, perché a svelare questa comunione di pensieri era stato l’arcivescovo emerito di Cracovia, il cardinale Stanislaw Dziwisz, segretario particolare di Wojtyla. Ma soprattutto ci sembra doveroso, anzi giusto ricordare, quanto altrettanto sincere fossero l’amicizia e la stima tra Benedetto XVI e Papa Francesco.
Spontane, affettuose, da vero italo sudamericano, sono state le parole pronunciate nel 2013, nei confronti del Papa emerito: “E’ il nonno saggio, gli ho sempre voluto molto bene. Per me è un uomo di Dio, un uomo umile, un uomo che prega». Parole che s’intrecciano con quelle che Ratzinger aveva pronunciato anni prima, riferendosi a Paolo Giovanni II. “Egli si immergeva nell’incontro con Dio, pur in mezzo alle molteplici incombenze del suo ministero”. Singolari e significative manifestazioni di reciproco affetto nella fede, di questa triade papale.
In fondo, Benedetto XVI è stato la “luce teologica” ed ha condotto per mano due Papi, il suo predecessore Wojtyla, con cui ha lavorato fianco a fianco per trent’anni, e il successore Francesco, con il quale, pur da Papa emerito, ha collaborato dal 2013 fino agli ultimi giorni della sua vita, dimostrando obbedienza e affetto che hanno dato un senso terreno alla sua vita. E ciò nonostante le accuse che gli vennero mosse da più parti, sia in Europa che negli Stati Uniti, di “aver taciuto sugli atti di pedofilia, di abuso sui minori, perpretati da non pochi prelati”.
Accuse non vere, strumentalizzate per destabilizzare la Chiesa di Roma. Josepf Ratzinger è stato il primo a denunciare la “tragedia degli abusi” ancor prima di essere eletto papa, quando era soltanto docente universitario, arcivescovo di Monaco, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e stato il primo Pontefice a lottare per cancellare quest’onta sulla Chiesa e al tempo stesso contro le speculazioni milionarie che, soprattutto negli Stati Uniti, si propagavano.
La storia della pedofilia negli States aveva radici ben più lontane: fin dal 1950 erano moltissimi questi tristi episodi. Ma oggi, gli atti giudiziari, la storia della Chiesa testimoniano gli interventi di Benedetto XVI: il primo a chiedere pubblicamente scusa ed a incontrare le vittime degli abusi; durissimo contro i pedofili, ancor più di Giovanni Paolo II. Durante il suo pontificato più di 400 sacerdoti sono stati ridotti allo stato laico.
Nel 2006 fu lui ad accettare le dimissioni di Mc Carrick, primo cardinale colpevole di queste ignominie, poi fatto dimettere da Papa Francesco.
Due Papi diversi, si è detto, per carattere, studi, ragioni umane ma uguali per affinità nell’esercizio della fede, “figli”di Paolo Giovanni II, proclamato Santo il 27 aprile 2014 (unitamente a Giovanni XXIII) per espressa volontà di Papa Francesco.
Che succederà ora? In molti si chiedono: Papa Francesco resterà più solo, senza il silenzioso, ma vigile sostegno di Benedetto? E’ difficile dirlo. Dovrà continuare a denunciare l’aggressione della Russia all’Ucraina, difendere il “diritto alla difesa di quel popolo martoriato”, dovrà rimanere l’unico baluardo spirituale contro ogni violenza, dovrà denunciare le violenze in Iran, in Afganisthan contro le donne, dovrà difendere il “diritto alla vita” degli immigrati che dall’Africa e dal Medio Oriente, cercano asilo in Europa. Saranno anni durissimi anche per gli acciacchi che lo affliggono.
Gli interrogativi si moltiplicano. Tralasciamo volutamente le polemiche scaturite dalla pubblicazione del libro “ Nient’alto che la verità”, La mia vita a fianco di Benedetto XVI” scritto da monsignor Georg Gänswein e dal vaticanista Saverio Gaeta, che esalta la figura di Joseph Ratzinger, ma sottolinea il malumore per le note decisioni adottate da Francesco nei confronti di Georg: Altre polemiche si susseguiranno. Non v’è dubbio che il peso degli affari dello Stato vaticano ricadranno, anzi sono già ricaduti sulle spalle di Papa Francesco.
Gli orizzonti temporali, si restringono: non è errato avvalorare l’idea che Francesco (in qualche modo l’ha già annunciato) decida di dimettersi per lasciare (a un papa africano?), la soglia di Pietro e divenire Papa Emerito sull’esempio di Benedetto XVI. E chissà – augurandogli lunga vita – che alla fine dei suoi giorni, da Piazza San Pietro non si elevi la richiesta “Santo subito”, come è avvenuto per Benedetto XVI.
Sarebbe un segnale fortissimo per la rinascita della Chiesa cattolica che da anni cerca nuovi discepoli in tutti i continenti a cui affidare la parola di Dio. I sacerdoti africani sono tra i prediletti? Auspichiamo che sia così.
Una vita intellettualmente elevata, quella di Benedetto XVI, teologo e raffinato musicista al quale ci lega un ricordo toccante e personale. Era il 7 settembre 2010, giorno in cui “La Nuova Arca” di cui ero presidente, Valerio Cattaneo, allora presidente del Consiglio della Regione Piemonte, Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, allora Cancelliere dell’Accademia Pontificia delle Scienze, vollero celebrare a Castel Gandolfo il V anno di Pontificato di Benedetto XVI con la Messa da Requiem di Mozart, K 626 diretta da Claudio Desderi. C’eravamo tutti: i Solisti dell’Accademia della Voce del Piemonte, l’Orchestra di Padova e del Veneto, il Coro dell’Accademia della Voce, fondato e diretto dal Maestro Sonia Franzese. Un concerto voluto fortemente da Alida Tua, anima dell’associazione. Quante emozioni quel giorno a Castel Gandolfo. Al Termine del concerto, Benedetto XVI si alzò dalla poltrona episcopale ed a voce alta rivolto al direttore, disse: “Maestro Desderi, sapevo che lei fosse un grande baritono, ma non che fosse un ottimo direttore d’orchestra. Finalmente ho ascoltato il Requiem di Mozart non diretto alla tedesca. Grazie”.
Claudio Desderi, soltanto un mese prima era stato operato al cuore in una clinica di Novara, dove l’avevamo fatto ricoverare. L’operazione eseguita dal professor Marco Diena, condusse il direttore d’orchestra sul podio di una giornata memorabile.
Quali furono le mie emozioni? Nei pochi secondi in cui mi fu concesso di salutare il Santo Padre, percepii una immensa tenerezza. Non capì nulla di ciò che Benedetto XVI, bisbigliò per ringraziare del concerto. Ricordo soltanto quegli occhi azzurri, pieni di indulgenza, di generosità, di amore paterno che brillavano di gioia”. Ho cercato di ricordare cosa mi avesse detto. Non lo saprò mai. Ero ipnotizzato dal suo sguardo, dalla sua leggerezza d’animo.
Armando Caruso