
Respinte le iniziative su eutanasia e liberalizzazione delle droghe leggere: una “propaganda fuorviante” – Inammissibile la richiesta sulla responsabilità civile dei magistrati – I nodi principali, sulla giustizia
La Corte Costituzionale si è pronunciata sul “pacchetto” di otto referendum al vaglio del Suo giudizio di ammissibilità.
Si trattava di due distinti gruppi di iniziative referendarie: l’uno, nell’ambito dei diritti sociali, sulla eutanasia e sulla liberalizzazione delle droghe leggere, l’altro, più cospicuo, con sei referendum in materia di giustizia. Sono stati dichiarati inammissibili i due del primo gruppo e uno solo, quello sulla responsabilità civile dei Magistrati, dei sei del secondo gruppo.
Tralasciando le motivazioni strettamente tecniche in ordine alla inammissibilità di quest’ultimo, possono già trarsi alcune considerazioni interessanti.
Mai, come in questo caso, l’iniziativa referendaria ha assunto i connotati di iniziativa politico partitica finalizzata di fatto solo a stimolare il dibattito parlamentare e cercare di indirizzarlo su materie per le quali oramai da tempo talune forze politiche, anche secondo schieramenti trasversali, ritengono che il Parlamento debba intervenire.
Evidente il caso dei due referendum sui diritti sociali, come chiaramente spiegato dal Presidente della Corte, Giuliano Amato, all’esito della Camera di Consiglio. Il marketing della propaganda li ha etichettati con un nome erroneo e fuorviante e ben ha fatto la Corte ha dichiararli inammissibili non solo per evidenti motivazioni giuridiche, ma anche per non arrischiare di far decidere agli elettori di votare qualcosa di completamente diverso da quello che, sulla scia propagandistica, avrebbero potuto percepire.
Ed infatti quanto al cd referendum sulla eutanasia il quesito referendario chiedeva in realtà la abolizione del reato di omicidio del consenziente così rendendo lecito in qualunque circostanza che chiunque potesse togliere la vita a un’altra persona alla mera condizione che la vittima gliel’avesse chiesto. Come è facile intendere nulla a che fare con il reale tema della eutanasia; quasi una mera provocazione di cui certo i promotori erano del tutto consapevoli.
Parimenti per il cd referendum sulla liberalizzazione delle droghe leggere con il quale in realtà si chiedeva la cancellazione dall’ordinamento di una intera tabella di sostanze proibite comprendente pacificamente anche droghe pesanti e molto pesanti (circostanza in realtà in questo caso contestata dai promotori).
Ma a ben vedere anche le iniziative referendarie in materia di giustizia, sia pure in modo più elegante, non paiono sfuggire a questa legittima logica strumentale.
Appare infatti, a mio avviso, evidente che lo scopo complessivo del pacchetto di referendum in materia di giustizia è quello in generale di depotenziare il potere della Magistratura in generale ed in particolare nei confronti della classe dirigente.
In tale disegno si inserisce:
– la cancellazione della norma della cd Legge Severino che prevede la incandidabilità dei condannati in primo grado (ovvero la successiva decadenza) così privando evidentemente la classe politica di una valutazione autonoma circa la opportunità della candidatura.
-la previsione della non applicabilità di misure cautelari, salvo che per pericolo di fuga o di inquinamento probatorio, per i reati “non violenti”; così facendo venir meno la esigenza cautelare del pericolo di reiterazione di reato che è quella più frequentemente richiamata per motivare l’applicazione di misure nei reati cd di colletti bianchi
-la partecipazione degli Avvocati nelle valutazioni di professionalità dei Magistrati con evidente compressione della autoreferenzialità della Magistratura in un tema di tale delicatezza
Ma è soprattutto il referendum che vorrebbe la irreversibilità della scelta ad inizio carriera del Magistrato tra funzioni di Pubblico Ministero ovvero di Giudice quello che maggiormente evidenzia la volontà di promuovere, ben più incidente, il dibattito politico parlamentare costituzionale.
Sono orami rarissimi i casi in cui i Magistrati passano dall’una all’altra funzione e quindi la questione in sé non ha alcuna attuale rilevanza. Quello che si vuole mettere realmente in campo a livello di confronto politico culturale è la unitarietà della Magistratura nell’ambito di un progetto di riforma, da tempo portato avanti dalle Camere Penali, che “spezzi” la contiguità tra Pubblici Ministeri e Giudicanti.
E’ evidente che le vere questioni sono pertanto di enorme portata; questioni che, ove fossero risolte secondo il reale fine ultimo dei promotori, andrebbero a ridisegnare gli equilibri tra i poteri dello Stato così come ad oggi di fatto esistenti.
Su tali considerazioni mi permetto di giungere a una conclusione di metodo: il dibattito referendario sia trasparente e consenta ai cittadini di esprimersi sulla problematica di fondo sottesa all’iniziativa delle forze referendarie. Consenta cioè di percepire la volontà degli elettori di rivedere o meno il complessivo assetto della Magistratura .
Tutti sappiamo che questo tema centrale può in realtà essere rivisto solo dal Parlamento. Utilizziamo la occasione del referendum per parlarne in modo chiaro ai cittadini e conoscerne la opinione a trent’anni da Mani Pulite.
Massimo Terzi