CULTURA

Rendere il fisco equo, funzionale, comprensibile per impedire ogni tentativo di ingiusta evasione

By 20/09/2022Settembre 22nd, 2022No Comments

Approfondita analisi di Roberto Frascinelli, Presidente della Fondazione “Piero Piccatti e Aldo Milanese” dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Torino – Una selva di contraddizioni, inefficienze, servizi carenti, mancanza di chiarezza, acuisce la percezione di impotenza degli italiani dinnanzi alla continua pressione fiscale – La Costituzione è chiara – La realtà sulla Flat Tax ,“arma impropria” della campagna elettorale

Con il termine “fisco” si intende in linea generale l’Amministrazione Finanziaria; esso deriva dal latino “fiscus” che identificava la cassa privata dell’imperatore che la utilizzava per le spese pubbliche (esercito, opere pubbliche ecc.). Nell’attuale contesto geopolitico, la crisi economico-finanziaria in atto e le dimensioni dell’economia sommersa pongono la fiscalità in primo piano nello scenario socio-economico italiano, soprattutto in questa fase di campagna elettorale in vista delle imminenti elezioni politiche. In merito va osservato che, non sussistendo più i riferimenti ideologici propri dei partiti politici, viene ad imporsi in primo piano il tema della spesa pubblica e della sua qualità che diviene parametro importante per orientare le scelte politiche dei cittadini.
La fiscalità si configura come un problema radicato nella società e si manifesta, sostanzialmente, in buona parte come avversione e pretesto di evasione alla imposizione fiscale. In merito però deve essere osservato che le valutazioni che gli italiani esprimono nei confronti del “fisco” risultano inevitabilmente correlate e condizionate da come le “entrate fiscali” vengono poi impiegate, dagli sprechi della spesa pubblica, dalle inefficienze, dai servizi percepiti come carenti o di bassa qualità, aspetti questi che influenzano fortemente la percezione del sistema fiscale da parte del cittadino.
Una ricerca del Censis pone in evidenza l’insofferenza generalizzata dei cittadini “per avere a che fare con un sistema che premia la furbizia e l’astuzia (o fors’anche la disonestà) in quanto permette a chi non paga (le imposte) di ricevere gli stessi vantaggi di chi le paga, fenomeno che appare tanto più intollerabile perché penalizza i cittadini virtuosi ed onesti che, al contrario, le regole le rispettano”.
In sostanza se il livello di tassazione viene giudicato elevato (è l’opinione di circa l’80% degli italiani) lo è non tanto in assoluto (per circa il 23%) quanto in relazione al livello e alla qualità dei servizi erogati (per circa il 58%). Inoltre la sensazione di ingiustizia è acuita dal senso di impotenza che il cittadino italiano sembra provare di fronte ad un “fisco” che non solo viene percepito come esoso ma anche prevaricatore.
Occorre richiamare quello che può apparire come un paradosso e cioè che lo Stato, per attuare i fini collettivi a cui è preposto, deve essere dotato di risorse finanziarie derivanti dal sistema di imposizione fiscale come sancito dall’art. 53 della Costituzione: però se la pressione fiscale è elevata il rischio di evasione diventa anch’esso elevato, con la conseguenza di minori entrate tributarie e così rappresentando un problema politico di primaria importanza. Conseguentemente si comprende perché il “fisco” viene considerato ingiusto in quanto incapace di attuare la funzione costituzionalmente prevista, ovvero quella di un sistema di tassazione che sia caratterizzato da criteri di efficienza e soprattutto di equità. Infatti la scarsa efficienza del sistema fiscale correlata alla percezione di non equità fa nascere nel cittadino un senso di profonda ingiustizia, in quanto risulta evidente che non tutti i cittadini concorrono allo stesso modo alle spese statali (il cittadino onesto verso il fisco paga per tutti e anche per l’evasore; quest’ultimo poi viene a disporre di risorse che ne aumentano la sua capacità di consumo e, se si tratta di imprese, ne aumenta la capacità, illecita, concorrenziale).
Da ipotesi fatte relativamente alla problematica delle somme iscritte a ruolo e non riscosse ci si avvicina ad un importo stimato in circa 900 miliardi di euro che rappresenta oltre il 50% del prodotto interno lordo italiano. Ne consegue una domanda: se il recupero fiscale è da ritenersi corretto perché non vengono riscossi i detti importi? Perché si deve ricorrere alla procedura della “rottamazione”, da intendersi come definizione agevolata per estinguere i debiti iscritti a ruolo senza sanzioni e interessi, onde così incentivare il pagamento del debito tributario?
E’ stato rilevato che la complessità del sistema tributario porta i contribuenti a scegliere fra tre diverse soluzioni che, in estrema sintesi, possono ricondursi a comportamenti finalizzati: 1) a frodare il fisco, e quindi a porre in essere un comportamento fraudolento, disonesto e quindi da considerarsi illegittimo;
2) a interpretare le norme con l’intento di eludere (aggirare) il precetto normativo e quindi a trarre una implicita conferma di legittimazione del proprio comportamento volto però al solo scopo di ridurre o azzerare l’onere fiscale;
3) a rispettare il dettato normativo.
L’obiettivo da perseguire necessariamente da parte del Governo sarebbe dunque quello di una maggiore razionalità della legge tributaria affinché non si rivolga a considerare, nella normazione, la peculiarità del particolare: infatti le norme fiscali sono divenute nel tempo sempre più numerose, analitiche e minuziose; ne consegue una esigenza di semplificazione non più rimandabile. Il sistema fiscale è ancora caratterizzato da un incessante incremento di norme dovute ad una attività legislativa complessa e affannata e paradossalmente finalizzate ad un maggior controllo, da norme “vecchie” che rimangono in vigore accanto alle “nuove” creando, in tal modo, un aspetto degenerativo del linguaggio giuridico involuto utilizzato per la redazione e l’interpretazione delle norme stesse.
Nell’ambito di un più esauriente sistema informativo tra “fisco” e contribuente al fine di migliorare il reciproco rapporto, deve essere richiamato il documento “Relazione sulla economia non osservata (NOE) e sulla evasione fiscale e contributiva – Anno 2021 che esamina l’insieme delle attività economiche che sfuggono all’osservazione/rilevazione statistica diretta. Le principali componenti della NOE sono rappresentate dal sommerso economico e dalla economia illegale. In sintesi, il sommerso economico include le attività che sono volontariamente celate alla Autorità fiscale e previdenziale (si pensi, ad esempio, alle dichiarazioni fiscali non corrette o all’impiego di lavoro irregolare) mentre l’economia illegale viene definita come l’insieme delle attività produttive aventi per oggetto servizi illegali o svolti senza autorizzazioni o specifico titolo giuridico.
Le stime del “sommerso economico” non consentono di quantificare esattamente le entrate complessive sottratte all’Erario dal fenomeno dall’evasione fiscale e contributiva: si utilizza allora l’indicatore denominato “TAX GAP” che sta ad indicare il divario tra le imposte e i contributi versati e quelli che i contribuenti avrebbero dovuto versare in un sistema di perfetto adempimento. Detto divario per l’anno 2018 si attesta in circa 103 miliardi di euro (il che sta anche a significare che l’area dell’economia sommersa (quindi quella che sfugge al prelievo fiscale) viene stimata intorno ai 250 miliardi di euro corrispondente a oltre il 13% del PIL. Infatti la distribuzione per settore dell’economia non osservata permette di rilevare una incidenza del lavoro irregolare con il tasso più elevato nel settore dell’”agricoltura, della silvicoltura e della pesca”, tasso che si aggira intorno al 20% mentre nell’”industria” esso si attesta intorno al 10% e nei “servizi” intorno al 15%; se si considera invece la sua distribuzione territoriale si rileva che il fenomeno assume caratteri più rilevanti nel Mezzogiorno d’Italia (circa il 20%) mentre al Centro si attesta intorno al 13% e al Nord intorno al 10%.
Per contrastare questo fenomeno deve essere evidenziato come il Governo, oltre a procedere alla revisione della struttura funzionale dell’Amministrazione Finanziaria, dovrà razionalizzare l’impiego delle risorse anche in aderenza agli obiettivi del Piano Nazionale di ripresa e Resilienza (PNRR): ne consegue la priorità del potenziamento dei controlli. In sintesi, si può constatare come l’indirizzo strategico del Governo dovrà essere volto a ridurre sensibilmente la pressione fiscale contribuendo così a rendere il sistema fiscale più equo e favorendo il rilancio economico del nostro Paese.
In questo periodo si è discusso molto sulla proposta di introdurre la “FLAT TAX” ovvero una imposta unica (invece delle attuali quattro) che dovrebbe sostituire il “sistema IRPEF” a scaglioni; l’aliquota proposta oscilla tra il 15% e il 23% sul reddito di tutti i contribuenti. Questa proposta risulta però in contrasto sia con il principio costituzionale sancito dall’art. 53 C. che impone il principio della progressività sia con l’art. 2 C. che sancisce il dovere di contribuire al sostegno della spesa pubblica in quanto richiede “l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale“. In merito va osservato che la “FLAT TAX” si presenta difficilmente realizzabile poiché richiede un rilevante costo per la finanza pubblica (stimato nella ipotesi più penalizzante in circa 50 miliardi di euro) con conseguente aumento del debito pubblico che oggi viene stimato in circa 2.766 miliardi di euro (gli interessi passivi su detto debito per l’anno 2021 ammontano a più di 30 miliardi di euro); deve essere ancora richiamato che qualora il rapporto debito/PIL diminuisse, l’onere per gli interessi sarebbe comunque destinato a mantenere livelli di spesa rilevanti togliendo così le risorse per i fini collettivi che competono allo Stato e cioè spese per sanità, istruzione, welfare, sicurezza, contrasto al dissesto idrogeologico, emergenza idrica, ecc.
In merito occorre fare una riflessione: il “sistema IRPEF” prevede oggi quattro aliquote che permettono di salvaguardare il principio di progressività; pertanto sarebbe sufficiente rimodulare le predette quattro aliquote così da tener conto della tassazione di redditi considerati medio-bassi che sono oggi i più penalizzati dall’aumento delle bollette energetiche e dell’inflazione. Dunque occorre anche tener presente che necessita preservare le deduzioni e le detrazioni funzionali a mantenere operante il principio di progressività dell’imposta. Inoltre, l’affermazione che la riforma della FLAT TAX “si paga da sola” in quanto la riduzione della imposizione fiscale “rimette in moto l’economia” è tutta da verificare per non incorrere nel rischio (più che reale) di produrre un ulteriore “buco di bilancio”, anche perché il servizio assistenziale da parte dello Stato (spesa attualmente sostenuta dal debito statale) ha assunto dimensioni rilevanti cui si deve far fronte non solo attraverso una profonda revisione della modalità della spesa pubblica ma anche rivedendo la tassazione dei grandi patrimoni e delle rendite finanziarie che attualmente non sono soggette alla progressività della loro tassazione.
Va ancora evidenziata la necessità di un intervento governativo che possa ampliare la sua visione circa le decisioni da assumere in tema di adeguata tutela della sostenibilità della spesa pubblica in stretta correlazione alle esigenze delle future generazioni. Infatti, la tutela dell’equilibrio finanziario e la sostenibilità dei conti pubblici trovano negli artt. 81 e 97 della Costituzione espressa tutela in merito, in quanto deve essere assicurato sia l’equilibrio dei bilanci sia la sostenibilità del debito pubblico come si evince dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 18/2019 del 20.02.2019 che ha riconosciuto che “…l’equità intergenerazionale comporta, altresì, la necessità di non gravare in modo sproporzionato sulle opportunità di crescita delle generazioni future, garantendo loro risorse sufficienti per un equilibrato futuro”.
Bacone già nel 1623 osservava che “non è bene che le leggi siano, come di solito sono, troppo piene di parole e prolisse. Perché allora non raggiungono ciò che desiderano, ma il contrario. Quando vogliono inseguire tutti i casi particolari ed esprimerli con parole apposite, sperando con ciò di acquistare una maggiore certezza, producono invece infinite questioni verbali che confondono e rendono più difficile l’interpretazione secondo lo spirito della legge che è la più sana e la più vera.”
Va quindi osservato che la certezza del diritto non può convivere con una sterminata e continua legislazione in quanto questa si ramifica in leggi, decreti, risoluzioni, circolari interpretative che sono caratterizzate da confusione: in sostanza una giungla di leggi dove anche l’esperto a volte si smarrisce, in tal modo rendendo il contribuente solo ed insicuro. Ne consegue la perdita di fiducia nello Stato in quanto il contribuente non solo non si sente tutelato di fronte al sistema fiscale ma percepisce un senso di inadeguatezza in rapporto alla complessità del percorso per far valere le proprie ragioni e difendere i propri diritti.
In merito va però rilevato che la telematizzazione di alcuni servizi permette ora di rendere più agevole, ad esempio, i controlli sulla propria posizione di contribuente (cassetto fiscale) oppure nel procedere al pagamento delle imposte; su questo aspetto è in atto un rilevante processo culturale per permettere ai cittadini di sfruttare detti strumenti digitali che rendono più certo il rapporto tra fisco e contribuente. Va quindi auspicata sia una politica di riduzione delle spese pubbliche sia una mirata strategia di contrasto alla evasione-elusione fiscale, dando nel contempo l’avvio ad un reale processo di semplificazione delle norme fiscali che tenga conto dello Statuto del Contribuente (Legge 212/2000): in tal modo si potrà superare l’attuale percepita contrapposizione tra Amministrazione Finanziaria e Contribuente.

Roberto Frascinelli