
Ostacoli in sede parlamentare quando si parlerà anche di presidenzialismo e autonomie – Non una lentezza permanente, ma il principio di una vera ragionevole durata del processo – Più corretto sarebbe considerare la delicata materia come una perfetta “catena di produzione”
Il nuovo Governo ha preannunciato la intenzione di promuovere radicali riforme in materia di giustizia; in particolar modo nel settore penale. Avevo già avuto modo di segnalare in un precedente articolo le enormi difficoltà politiche di realizzare questa riforma in quanto si andrà a congiungere in sede parlamentare, o comunque di trattativa politica, con la riforma del presidenzialismo e quella delle autonomie. Il rischio, evidenziato recentemente da ben più autorevoli commentatori, è quello di una paralisi complessiva. Ma tralasciando gli aspetti strettamente politici vorrei valutare l’approccio di metodo alla riforma in materia di giustizia con particolare e specifico riferimento alla giustizia penale.
Sono passati 43 anni dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale , che segnò una svolta epocale sia da un punto di vista ordinamentale che procedurale, mutando il sistema da inquisitorio a accusatorio. Molti, anzi, direi innumerevoli, sono stati gli interventi e gli aggiustamenti sull’impianto normativo per cercare di migliorarlo. Nelle variegate opinioni tecnico giuridiche sul nuovo codice di procedura – oramai vecchio – vi è comunque un minimo comune denominatore: nessuno ha mai avuto l’ardire di sostenere che il suo funzionamento fosse compiutamente apprezzabile.
Il punto che ha sempre unito tutte le critiche, di qualunque parte politica o accademica, è sempre stata la problematica della lentezza. E per arginare questo male endemico si è anche costituzionalizzato il principio della ragionevole durata del processo. Ma oggettivamente, la problematica della durata dei processi (e delle indagini), che è la madre di tutte le problematiche, permane.
In modo direi paradossale gli ultimi Governi Conte prima e Draghi poi, hanno per l’ennesima volta, affrontato il problema con approccio causidico o se vogliamo da prestigiatori inventando istituti mai conosciuti nella storia del diritto.
E così il governo Conte con il Ministro Bonafede ha abolito la prescrizione, di fatto ufficializzando che il processo possa durare in eterno. Il governo Draghi con il Ministro Cartabia, per porre rimedio a tale illusionismo, ha estratto il coniglio dal cappello concependo, dopo il primo grado, la improcedibilità cioè una tagliola che interrompe il processo ove non sia celebrato nei tempi normativamente indicati.
Entrambi hanno convenuto che era necessario restringere il canone di giudizio che consentisse di portare qualcuno a processo, ma per applicare questo nuovo canone hanno creato una nuova fase di giudizio anche per i processi cd a citazione diretta (ove cioè non si passava per una udienza preliminare) che rappresentano oltre il 70 % dei processi. E’ evidente che è piuttosto bislacco ritenere che possano accorciarsi i tempi processuali aggiungendo una ulteriore fase di giudizio.
Sorge spontanea la domanda del come mai un intera classe politica di tutti i colori supportata dalla classe forense, dalla classe giudiziaria e dall’accademia possa inanellare tanti inciampi. La risposta, a mio avviso, è semplice. Per molti motivi nel settore della giustizia soprattutto penale l’approccio continua ad essere scorretto nel metodo. Con un approccio tradizionale non vi sono soluzioni e pertanto si arriva a sbizzarrirsi anche in modo fantasioso per aggirare il problema con la forma che di fatto lascia intonsa la sostanza.
La sostanza da cui si dovrebbe partire, come già da anni sostengo, è piuttosto elementare ove si abbia la capacità , o meglio l’umiltà, di accettare che la giustizia, anche quella penale, è comunque un complesso organizzativo finalizzato a una produzione; nobile quanto si vuole, forse la più nobile delle produzioni, ma pur sempre una produzione.
Allora facciamo finta che siamo la spa Fabbrica Giustizia Penale. ll nostro obiettivo è una produzione in tempi predeterminati garantendo comunque un prodotto di qualità. In ordine al fattore tempo di produzione ipotizziamo che al momento ci mettiamo il doppio del tempo che dobbiamo garantire. Il nostro obiettivo è quindi quello di dimidiare i tempi.
Quali sono le variabili che incidono su fattore tempo? La prima del tutto evidente è il numero di pezzi che dobbiamo produrre. Se tutti pezzi (processi) fossero standard, e quindi producibili con lo stesso tempo, dimezzando il numero dei pezzi da produrre avremmo di fatto già raggiunto l’obiettivo. Una seconda, altrettanto evidente, è il numero degli addetti alla produzione. In questo caso raddoppiandoli aggiungeremmo ugualmente l’obiettivo. Una terza altrettanto lapalissiana è il miglioramento dei tempi di ciascuna fase produttiva magari riuscendo a saltare qualche fase produttiva. E così di seguito.
Quel che si deve comprendere , quello che gli addetti ai lavori dovrebbero comprendere, è che si deve partire – ed oggi con la informatica è possibile se non addirittura elementare – dai dati che la serie storica di questi oltre 40 anni di cattivo funzionamento ci evidenziano e provare a simulare toccando le variabili come arrivare all’obiettivo prefissato.
Quel che non si può accettare è che qualsiasi ipotesi che vada ad incidere realmente sulle variabili che contano venga stroncata dall’uno o dall’altro adducendo ogni volta che si abbasserebbe la qualità del prodotto. Ogni scelta è un bilanciamento di interessi. O partiamo dal presupposto che una giustizia penale seria in un paese democratico deve arrivare, sia per gli imputati, sia per le vittime dei reati, sia per la opinione pubblica, a una definitiva decisione in tempi appunto ragionevoli oppure non risolviamo il problema.
Su quel presupposto variegate sono le ipotesi percorribili anche combinandole tra loro con oculatezza. E queste ipotesi devono essere verificate e simulate prima di essere approvate perché ogni sovrapposizione di normativa pone problemi interpretativi e diventano un ulteriore freno alla velocità dei processi.
In conclusione la problematica di fondo è meramente culturale. E’ necessario che si valorizzi come valore essenziale, senza se e senza ma, la tempestività, e conseguentemente, si accetti che è necessario adattare la catena di produzione a tale fine. Se vogliamo continuare a gestire lo stesso numero di procedimenti, con lo stesso numero di giudici, con le stesse fasi e gradi di giudizio non potremo che produrre riforme più o meno fantasiose che occultano, ma non risolvono il problema.
Massimo Terzi