
“La guerra in casa” di Luca Rastello e “L’ONU è morta a Sarajevo” di Zlatko Dizdarevic e Gigi Riva, due libri che ben raccontano il dissolvimento della Jugoslavia – I crimini di trent’anni fa in Bosnia e la ferocia dell’aggressione russa del 2022 – La Corte penale, allora, arrestò i responsabili di atroci misfatti – La giustizia internazionale colpirà anche Putin
La guerra in casa: questo il titolo di uno dei libri che meglio racconta della guerra che ha sconvolto i Balcani dal 1991 al 1995.
In particolare l’opera del torinese Luca Rastello, scomparso nel 2015, descrive non solo i fatti ma le ragioni che portarono al dissolvimento della Jugoslavia e che generarono massacri così feroci, compiuti, soprattutto sulla popolazione civile ed essenzialmente dalle truppe militari e para militari della Serbia e della autoproclamata Repubblica serba di Bosnia, da riportare alla mente coloro che insanguinarono quelle terre nella seconda guerra mondiale (per mano di ustascia filo nazisti e cetnici nazionalisti) e che trovarono una qualche giustificazione ideologica (da parte di chi li commise) nell’epica della conquista da parte degli ottomani di quelle aree; epica che ebbe il suo fulcro nella battaglia della Piana dei Merli (Kossovo Polje) combattuta nel 1389.
In quest’epoca in cui non sembra possa esserci più spazio per la memoria (se non quella degli smartphone e dei tablet) e in cui le notizie durano meno di un battito di ciglia pochi ricordano che il più lungo assedio dell’epoca moderna ha avuto come protagonista una delle città più belle e più mitteleuropee del nostro continente: Sarajevo.
Un assedio di 1425 giorni, ossia dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio del 1996, in cui si sono succeduti massacri, stragi, che hanno provocato oltre 12 mila vittime (di cui l’85% civili).
A ogni strage, a ogni scoperta di fosse comuni, a ogni lancio di granate sulla popolazione civile quando il consiglio di sicurezza dell’ONU emanava risoluzioni per i colpevoli si registrava una levata di scudi per sollevare dubbi sulla provenienza delle granate, sulla identificazione dei veri responsabili.
Solo l’intervento della NATO dopo l’ennesima strage – quella del mercato di Marakale dove persero la vita 37 persone – mise fine al conflitto e alla firma dell’Accordo di Dayton: un accordo che di fatto sancì la spartizione della Bosnia su base etnica (il 51% del territorio alla Federazione Croato-Mussulmana e il 49% alla Repubblica Srpska) e che di fatto legalizzò la pulizia etnica condotta nella repubblica Srpska ai danni di croati e bosniaci mussulmani.
A guerra in corso, nel 1993, fu istituito il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, la prima corte per crimini di guerra istituita dopo la Seconda guerra mondiale, che inesorabilmente ha processato oltre 150 imputati, condannandone 83. Non solo Milosevic, Mladic, Karadzic ma anche soldati, militari, paramilitari e politici, coloro che avevano più o meno direttamente contribuito a spargere sangue, dolore e disperazione.
Perché questa lunga introduzione, Vi chiederete, su una storia che ha 30 anni, di cui nessuno quasi più si ricorda. La risposta è nelle cronache di qualche tempo fa.
Il 17 marzo scorso la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato internazionale di arresto per Vladimir Putin – assieme alla Commissaria per i diritti dei bambini presso l’ufficio del Presidente della Federazione Russa, Maria Lvovz Belova – per crimini di guerra, e in particolare per la deportazione illegale di bambini dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa.
Oggi come allora alle porte di casa nostra c’è una guerra fratricida, combattuta da truppe regolari e da mercenari che non si fanno scrupoli come ha documentato la Commissione internazionale indipendente sull’Ucraina di commettere crimini di guerra che includono “uccisioni, volontarie, attacchi a civili, reclusione illegale, torture, stupri, trasferimenti forzati e deportazione di bambini”.
Non sarà facile processare Putin (la Russia non riconosce la giurisdizione della Corte dell’Aja), che non potrà mettere piede in decine di Paesi del mondo che avendo aderito alla corte penale, avrebbero l’obbligo di arrestarlo, come ha dichiarato Karim Khan, procuratore capo della Corte Penale Internazionale: “dobbiamo garantire che i responsabili dei presunti crimini siano chiamati a rispondere delle loro azioni e che i bambini siano restituiti alle loro famiglie e alle loro comunità”.
E’ pur vero che oggi come allora ci sono persone che seminano dubbi, che cercano di raccontare una storia diversa: ai tempi della ex Jugoslavia quando cadeva qualche granata sui civili in coda per l’acqua o per il pane il refrain era “se la sono tirata addosso per provocare la reazione della comunità internazionale”. Oggi il ritornello che va per la maggiore è “si, però anche gli Ucraini….”.
Nella guerra di Bosnia i veti contro le risoluzioni delle Nazioni Unite arrivavano in primis dalla Russia, spesso sostenuta da Francia e Inghilterra, in virtù di alleanze che avevano le radici nelle alleanze della Seconda Guerra Mondiale e dei timori che il progetto di ricostruzione della Jugoslavia non rispettasse gli equilibri internazionali che si dovevano ricreare tra i diversi paesi occidentali coinvolti.
Questa contrapposizione di veti, la situazione di stallo con le tragiche conseguenze che la popolazione della Bosnia, e in particolare di Sarajevo, dovette subire è bene descritta nel libro “L’ONU è morta a Sarajevo” di Zlatko Dizdarevic e Gigi Riva .
Nonostante la contrapposizione e i ritardi il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia ha saputo con pazienza e perseveranza portare alla sbarra uno dopo l’altro i principali protagonisti di quella orrenda pagina della storia contemporanea.
E come per Milosevic, Karasdzic, Mladic, anche per chi ha scatenato questa guerra assurda arriverà il momento di rispondere davanti ai giudici di azioni, ordini, scelte, fosse comuni, stupri, deportazioni e massacri.
Rimane sempre valido il principio che chi dimentica la storia è condannato a riviverla. E noi, che ci siamo scordati così repentinamente di quello che è successo a pochi chilometri dai nostri confini il 1992 e il 1995 stiamo rivivendo, da spettatori, le stesse dinamiche, lo stesso odio.
La differenza tra quello che è accaduto in Bosnia e quello che accade in Ucraina è l’assenza, durante il conflitto yugolsalvo, dei social che oggi ingolfano i pensieri di molti e mistificano la realtà dei fatti.
La manipolazione delle prove, durante i giorni dell’assedio di Sarajevo, non alterò, però, la verità, l’accertamento dei fatti e la condanna dei responsabili. Lo stesso dovrà accadere, nonostante la disinformatja agisca bene anche nei paesi occidentali, per coloro che dal 24 febbraio del 2022 hanno decretato la vile aggressione che sta sconvolgendo il mondo.
Alessandro Battaglino