
Decenni di miopia nella programmazione – Lunghe liste di attesa, anche per malattie croniche – Negli ospedali sempre meno medici e personale infermieristico – I pazienti costretti a rivolgersi alle strutture private con costi insostenibili.
La pandemia ha evidenziato tutta la fragilità del sistema sanitario italiano, causata da una miope politica di programmazione a lunga distanza che, nel corso dei decenni, ha comportato una crisi della sanità pubblica che è sotto gli occhi di tutti.
I maggiori fattori sono, innanzitutto, il sottofinanziamento da parte dello Stato, il blocco delle assunzioni ferme da più di dieci anni, la privatizzazione di molti settori che un tempo erano pubblici. Tra il 2009 ed il 2018 ben 45 mila tra medici ed infermieri sono venuti meno e, più precisamente, 7 mila medici e 35 mila tra infermieri ed altri sanitari. L’emergenza Covid ha solo accelerato tale processo; tra turni massacranti, ferie non godute, retribuzioni ferme, sovraccarico di lavoro e conseguente stress, una consistente parte del personale ospedaliero si è dimesso o ha percorso la strada della pensione anticipata o è passato al privato.
Tale carenza di operatori sanitari è stata analizzata dalla stessa Anaao Assomed, il più grande sindacato di medici in Italia, che, proprio sulla base delle attuali tendenze di pensionamento e licenziamento, ha evidenziato come già entro il 2024 mancheranno ben 40 mila medici specialisti. Lavorare nel pubblico non sarà più un’attrattiva: mancato riconoscimento economico, aggressioni sempre più frequenti, incidenti sul lavoro, un maggior carico di ore lavorative sono i fattori principali per cui molti medici decideranno di rinunciare ad iniziare o proseguire una carriera nel pubblico.
Altro problema che nel corso degli anni non si è voluto affrontare è quello del numero chiuso per accedere alle facoltà mediche; ciò ha fatto sì che non ci fosse ricambio generazionale; pertanto, sono molto più numerosi i medici che vanno in pensione rispetto ai neoassunti. In aggiunta a ciò, molte specializzazioni non risultano essere interessanti dagli specializzandi, quali medicina d’urgenza, microbiologia ed anestesiologia.
Ma tutto questo come si ripercuote sul paziente? Liste di attesa sempre più lunghe, pazienti con malattie croniche e degenerative che non riescono ad accedere a cure veloci ed essenziali. Lo stesso Presidente della Fondazione GIMBE, nel commentare il DEF 2023 (il Documento di Economia e Finanza), sottolinea come la pandemia non abbia cambiato nulla nella visione sanitaria della politica italiana, ignorando totalmente la grave crisi del SSN, che si basa su principi fondamentali di universalità, uguaglianza ed equità, facendo venire meno quanto sancisce la Costituzione italiana sul diritto alla salute.
Le interminabili liste di attesa hanno costretto molti pazienti a rivolgersi al privato, aumentando l’impoverimento delle famiglie, sino, nei casi più gravi, alla rinuncia della cura stessa; le diseguaglianze regionali e locali nell’offerta di servizi e prestazioni comportano il fenomeno della migrazione sanitaria, dell’inaccessibilità alle innovazioni, alla riduzione delle stesse aspettative di vita.
La profonda diseguaglianza del sistema sanitario regionale è emersa con gravità dall’XI edizione del rapporto “Le performance regionali” del Crea Sanità, Centro per la ricerca economica applicata in sanità. L’Italia è praticamente divisa in due: otto tra Regioni e Province autonome sono state promosse, sette rimandate e sei bocciate. Tale indagine ha restituito un preciso quadro della sanità italiana, in cui l’assistenza si basa sull’autonomia territoriale e la domiciliarità. Le valutazioni sono state assegnate da oltre cento esperti suddivisi in cinque gruppi: istituzioni, management aziendale, professioni sanitarie, utenti, industria medicale. Sono, soprattutto, le Regioni del Centro-Sud che hanno evidenziato tutta l’inefficacia del sistema sanitario italiano così come impostato.
L’Italia orami sta sempre più percorrendo la strada della privatizzazione: circa il 60% dei fondi pubblici è dirottato verso i privati per l’acquisto di servizi medici e farmacologici; più del 50% delle istituzioni sanitarie preposte alla cura di malattie croniche sono private, così come lo sono più dell’80% delle istituzioni di assistenza sanitaria residenziale.
Si sta sempre più procedendo verso un sistema sanitario pubblico che deroga molte prestazioni importanti al privato, che ovviamente tende a portare avanti i servizi più lucrativi a scapito di quelli meno redditizi come, ad esempio, la prevenzione. Inoltre, un tale sistema si baserà sempre più sul prodotto più conveniente rispetto al reale bisogno del malato. Lo stesso attuale Governo ha una visione non omogenea del problema: per FdI si deve favorire un sistema più centralizzato, mente Lega e FI tendono all’autonomia regionale e alla privatizzazione con tutti i rischi di diseguaglianza che proseguire su questa strada comporterebbe.
Secondo i dati emersi nel Rapporto sul sistema sanitario italiano redatto da EURISPES e ENPAM, un quarto delle famiglie italiane ha avuto difficoltà economiche per quanto riguarda le prestazioni sanitarie. Nel 2022 ben il 33,3% degli italiani ha dovuto rinunciare a prestazioni e/o interventi sanitari, rinuncia causata dalla non disponibilità delle strutture sanitarie e dalle liste di attesa troppo lunghe. Ciò si conferma anche per il 2023. Dall’indagine è emerso che ogni anno gli italiani spendono di tasca loro ben 40 miliardi di euro.
Quali sono le azioni da intraprendere per fermare tale fenomeno? In primis bisogna aumentare il finanziamento pubblico per la sanità in modo costante, allineandolo entro il 2030 al resto dell’Europa. In secondo luogo, si dovrà tamponare l’emorragia di medici ed infermieri, incentivando i giovani ad occupare quei posti vacanti attraverso un aumento di stipendio e lo sbollo del numero chiuso delle facoltà mediche. Infine, si dovrà riportare in mano al pubblico molti servizi affidati al privato, esercitando un cambio culturale per cui la salute pubblica ritorni al centro dell’agenda politica, e risaldando il rapporto tra sanità ed economia.
Antonella Formisano