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Suicidio assistito “legittimità e rispetto”. Riflettere sulla vita

By 18/01/2022Gennaio 26th, 2022No Comments

Infrangere il mistero dell’Uomo e sempre difficile. I doveri della Scienza e i doveri dello Stato

L’emergenza pandemica ed ora anche l’elezione del Presidente della Repubblica, con le ineluttabili attese conseguenze sul quadro politico-istituzionale, hanno oramai quasi monopolizzato l’attenzione dei mass-media e obliterato argomenti di discussione e di confronto di grande rilievo.
Tra questi il più penalizzato, in proporzione alla sua enorme importanza culturale, il tema del suicidio assistito che ha avuto un breve momento di risonanza alla fine dello scorso anno in occasione del parere favorevole espresso dal Comitato Etico della Regione Marche sulla istanza di Mario (pseudonimo). Nondimeno appare doveroso, prima che si pronunci il Parlamento in linea con i principi della sentenza 242 del 2019 della Corte Costituzionale, provare a riparlarne.
E’ sempre molto difficile “mettersi nei panni dell’altro”. Pare quasi impossibile – e forse lo è – immedesimarsi in una vita logorata al punto da desiderare di spegnersi con il tuo aiuto. E’ per questo che il primo istinto induce a schierarsi senza tentennamenti dalla parte di chi trova giusto permettere il suicidio assistito cioè a riconoscere, a determinate condizioni, al protagonista del dramma il diritto di decidere. Poi ci ripensi e comprendi che è tutto molto più complesso e cominci a capire che dare una mano a un altro essere umano a togliersi la vita è comunque bucare con un forellino il velo sottile e fragile che separa la quotidiana battaglia dell’uomo tra istinto di sopravvivenza e istinto di distruzione e autodistruzione. Senti che si va a toccare il fondo del mistero dell’uomo unico vivente con una coscienza che lo rende capace delle azioni più nobili, ma anche capace di uccidere inventandosi false necessità.
E allora ti viene paura che qualsiasi previsione di legittimazione dell’aiuto al suicidio, qualsiasi minimo forellino in quel velo possa renderlo così fragile da squarciarlo completamente ove arrivasse qualche folata dal vento della storia. E allora ti viene in mente che in un Paese in cui in mezzo secolo la vita si è allungata di venti anni forse il problema vero è… “nel prima”.
Forse l’Uomo deve cominciare a riflettere sulla sua capacità di intervento nel bene e nel male sull’evoluzione; e con riferimento al tema imperscrutabile della vita e della morte mettere in discussione in modo ancora più incisivo la problematica dell’accanimento terapeutico o addirittura quello della terapia nella prospettiva di una sua capacità quasi di sconfiggere, da un punto di vista tecnico, ogni sorta di malattia.
Forse allora potremmo accettare che il vero problema è quello della qualità della vita, che questo problema si andrà sempre più dilatando; che il dovere della scienza è concentrarsi di più sulla mitigazione del dolore; che il dovere dello Stato è concentrarsi su un dignitoso accompagnamento della sempre più crescente moltitudine di persone che si avvieranno al fine vita per tempi sempre più lunghi e ineluttabilmente sempre più insopportabili.
In questa prospettiva regolare ufficialmente, quasi burocraticamente il fattivo aiuto a morire potrebbe anche ritenersi un lavarsi la coscienza rispetto a problematiche affrontate prima superficialmente e secondo canoni meramente tecnici e standardizzati. E’ molto difficile avere certezze e magari la vita stessa mi metterà alla prova ed io stesso maledirò un giorno che non mi è consentito il suicidio assistito. Ma quando non si hanno certezze è prudente riflettere, riflettere e ancora… riflettere.

Massimo Terzi

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