SCIENZA

Torino? Una capitale della scienza

By 21/09/2021Ottobre 1st, 2021No Comments

Intervista con Nadia Pastrone: una vita tra Usa e Cern di Ginevra.

Da Asti, dove è nata nel 1960, al Fermi Lab di Chicago e dal Fermi Lab al Cern di Ginevra, dove ha contribuito alla scoperta del bosone di Higgs, la particella subnucleare che nel 2013 portò al premio Nobel lo stesso fisico teorico Peter Higgs e il belga François Englert. Questo è il percorso scientifico di Nadia Pastrone ridotto all’essenziale.
Un po’ troppo essenziale. Diciamo allora che Nadia Pastrone al Cern ha guidato 300 fisici italiani coinvolti nell’esperimento CSM realizzato lungo l’anello di 21 chilometri del Large Hadron Collider (LHC), l’acceleratore di particelle più grande del mondo, e aggiungiamo che ha al suo attivo oltre 1000 pubblicazioni scientifiche. Ciò non le ha impedito di essere la mamma onnipresente di due figli. L’esperimento CMS è un rivelatore di eventi subnucleari grande come un palazzo di 4 piani – 21 metri per 15 di altezza e di larghezza e 14000 tonnellate – nel quale si sviluppa un campo magnetico centomila volte più intenso di quello della Terra che orienta l’ago delle bussole.
Nadia Pastrone, lei si è laureata all’Università di Torino e tuttora fa parte della sezione torinese dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).

Recentemente per un mandato di quattro anni l’Infn le ha affidato il coordinamento, in qualità di presidente, delle attività di ricerca nell’ambito della fisica delle alte energie. Può accennare alle tappe di questa carriera?
“Ho cominciato a lavorare al Cern come summer student nel 1983 quando Carlo Rubbia scopriva le particelle predette dal Modello Standard, i bosoni Z e W (Nobel 1984 anche per l’innovativa tecnologia di fisica degli acceleratori), usando per la prima volta le collisioni tra un intenso fascio di antiprotoni di alta energia con un fascio di protoni. Il gruppo di Torino usava gli stessi antiprotoni per l’esperimento della mia tesi di laurea. Sono passati anni e al Cern è stato costruito e messo in funzione LHC, il più grande e potente collisore (collider) adronico, dove due fasci di protoni si scontrano frontalmente a velocità prossime a quelle della luce per indagare la materia e ricostruire in laboratorio i primi istanti di vita dell’universo. Con l’esperimento CMS, di cui sono stata responsabile per l’Italia dal 2012 al 2014, e insieme all’esperimento ATLAS, abbiamo scoperto il bosone di Higgs (Nobel 2013), e completato con questo tassello il Modello Standard delle particelle elementari. Molto resta ancora da scoprire. E infatti al Cern accanto a questi grandi apparati e dopo grandi scoperte si continuano a discutere le strategie del futuro in Europa con nuove ricerche teoriche, sperimentando le tecnologie per costruire i prossimi apparati sperimentali, ma soprattutto aprendo le porte a tutti per spiegare come la ricerca di base entra nella nostra vita quotidiana, condividendone gli sviluppi”.
Quanto conta la presenza italiana al Cern?
“La presenza italiana al Cern è fortissima, non solo perché per il secondo mandato di 5 anni è stata rieletta Fabiola Gianotti come Direttore Generale, ma perché altri italiani come Lucio Rossi sono stati responsabili del progetto LHC e dei suoi sviluppi. I portavoce eletti dei 4 grandi esperimenti di LHC sono stati spesso italiani, ad un certo punto tutti contemporaneamente. L’Italia, con Edoardo Amaldi – rimasto in Italia dopo il dramma della seconda guerra mondiale – ha fortemente voluto il Cern. Che fu fondato nel 1954. Voglio ricordare che la volontà di fare ricerca per la pace e per lo sviluppo condiviso aveva portato qualche tempo prima a fondare in Italia l’Istituto di Fisica Nucleare, esattamente 70 anni fa, con Torino capofila, insieme a Milano Padova e Roma. Noi italiani vantiamo grandi teorici, che indirizzano e stimolano la nostra ricerca. I fisici sperimentali cresciuti nelle nostre università e laboratori di ricerca oggi sono in tutto il mondo e spesso vengono assunti al Cern, come pure ingegneri e tecnici. E’ una scuola che mira all’eccellenza e che mi auguro indirizzi sempre di più anche all’industria italiana.”

– La scienza è per sua natura cosmopolita: ha senso parlare di una “scienza torinese”?
“Torino ha grandi tradizioni di scienza non solo nella fisica e nella chimica ma certamente anche nella medicina, che con la fisica è andata spesso a braccetto. Il primo acceleratore di particelle arrivato a Torino per l’istituto di fisica fu collocato inizialmente alle Molinette. La scienza rende cosmopoliti perché quando si fa ricerca insieme, ovunque ci si trovi, ci si sente davvero uguali. Questo è il motivo per cui adoro il mio lavoro, e perché di fronte ai misteri della Natura non si può che gioire delle nostre piccole scoperte, soprattutto quando possiamo condividerle con altri.”
Quali sono i vertici della scienza torinese che per primi le vengono in mente?
“La statua di Avogadro all’ingresso dell’Istituto di Fisica sta a ricordarci lo studio della struttura della materia. Abbiamo avuto grandi matematici come Lagrange, e grandi esperti di tecnologia come Galileo Ferraris. Certamente Rita Levi Montalcini è un esempio di passione, di forza di volontà e di enormi risultati raggiunti. A Fisica abbiamo una grande tradizione di ricerca sperimentale e teorica, abbiamo avuto figure che si sono distinte a livello internazionale come Tullio Regge, ma anche una tradizione di donne sperimentali (“la gruppa”!) che hanno precorso insieme le tecnologie che hanno portato alle grandi scoperte di oggi. Voglio ricordare Geymonat, sui cui volumi ho studiato al liceo classico, perché resta fondamentale l’interconnessione della scienza con la crescita del pensiero umano.”
La perdita della grande industria sostituita da turismo e terziario farà perdere a Torino posizioni nell’ambito della ricerca internazionale?
“La grande industria è importante, ma soprattutto, secondo me, nell’industria ci deve essere la passione e la volontà di trovare nuove strade, mantenendo il rigore e l’aspirazione all’eccellenza. Credo che sia compito della ricerca scientifica trasmettere all’industria questa esigenza di puntare in alto e di perseguire strade di innovazione. Occorre trovare a Torino un luogo di dialogo e di condivisione delle idee per poter rinnovare e rilanciare l’ambito industriale, forse anche in dimensioni più ridotte, ma sempre a livello internazionale per la qualità dei prodotti e puntando ai nuovi sviluppi tecnologici in continua evoluzione.”
Da circa un anno lei è presidente dell’associazione CentroScienza: perché ritiene importante divulgare la cultura scientifica?
“E’ un grande onore e sento questo incarico come una grande responsabilità. Condivido a pieno la missione dell’associazione di divulgare in modo rigoroso e comprensibile la scienza e le sue più recenti scoperte e tendenze. Credo che questo compito sia essenziale: la scienza permea la nostra vita e spesso non è facile ottenere informazioni chiare e comprensibili. Anche per questo compito la collaborazione, la discussione e l’ascolto degli altri è essenziale.”
Pensa che nel futuro prossimo conteranno di più le scienze della materia o le scienze della vita?
“Credo che ciascuno debba seguire le sue passioni, solo così possono arrivare le grandi scoperte!  Occorre essere curiosi e la passione nasce dove si vede che c’è lo spazio per indagare e capire, per buttare il cuore oltre l’ostacolo. Gli sviluppi nella scienza della materia sono alla base degli sviluppi tecnologici e dell’industria, ne avremo ancora bisogno per salvare il nostro pianeta. Però sempre di più la ricerca diventa fondamentale per la biologia e quindi la vita. L’interesse e la ricerca nelle scienze della vita stanno crescendo vorticosamente e chiaramente toccano il nostro benessere e la qualità della nostra esistenza. Io sogno di mettere insieme il più possibile i due ambiti, sogno un rivelatore biologico, ad esempio, anche per i nuovi rivelatori di particelle.”
Che cosa si aspetta dall’Intelligenza Artificiale?
“L’intelligenza artificiale è un esempio di questa commistione, cerchiamo di copiare i meccanismi del cervello umano. Abbiamo fatto un salto quando alla meccanica per i calcolatori abbiamo potuto sostituire l’elettronica, i transistor… e poi arriviamo alle tecnologie più moderne nei nostri cellulari. L’Intelligenza Artificiale ci offre potenzialità enormi per sviluppare anche sistemi biologici, ma sta a noi avere sempre in mano gli strumenti di controllo tecnologico ed etico. Recentemente al Cern abbiamo festeggiato i 30 anni del Web con Tim Berners Lee: nessuno poteva aspettarsi questa invasione da parte un sistema informatico che ora mostra punti critici ma che ci dà anche gli enormi vantaggi che tutti noi conosciamo. Soprattutto chi di noi ha vissuto questi 30 anni, deve accostarsi con senso critico, per esempio, alle problematiche legate alla privacy. Non si può fermare lo sviluppo, ma spetta a tutti noi trovare un equilibrio e mantenere sempre il dialogo tra opinioni, esigenze e culture diverse.”

Piero Bianucci

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